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Grosseto, vittima di uno “psyco-hacker”: la truffa in Toscana che gioca con la mente e svuota il conto – «È l’ultimo giorno»

di Elisabetta Giorgi

	Il caso a Grosseto
Il caso a Grosseto

Un uomo, una telefonata e dieci bonifici: la tecnica dei malviventi punta sulla psicologia. Banca condannata a risarcire

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GROSSETO. Prima vittoria italiana contro gli “psycho hacker”. Le nuove frontiere della truffa online incappano in un freno: l’Arbitro bancario finanziario di Bologna ha condannato una banca a risarcire – almeno in parte – una vittima manipolata da un cybercriminale.

L’ingegneria sociale

Siamo nel terreno dell’ingegneria sociale, quel ventaglio di tecniche che sfrutta psicologia, fiducia e inganno più che le falle nei sistemi. Non serve violare firewall: basta violare la mente. Lo psycho-hacker, o “ingegnere sociale”, è un criminale che fonde competenze informatiche e abilità persuasive per indurre le vittime a cedere dati, compiere operazioni finanziarie o addirittura (come in questo caso) presentarsi fisicamente allo sportello per effettuare bonifici.

Le tecniche di manipolazione

Una delle tattiche più diffuse è lo spoofing, la creazione di identità digitali credibili per spacciarsi per un’entità affidabile e superare qualsiasi diffidenza; tutti meccanismi basati sulla manipolazione e sul convincimento del truffato. Una minaccia “psicologica” che infrange le barriere più tradizionali delle truffe per far leva sulla psicologia degli utenti.

Il bersaglio: la mente umana

Lo psycho-hacker in gergo “ingegnere sociale” è di fatto un cybercriminale, o meglio un black hat hacker in grado di sfruttare da un punto di vista tecnologico le tecniche di persuasione per esercitare il controllo su pensieri, emozioni e comportamenti degli utenti-bersaglio, spingendoli a compiere azioni precise o influenzandone le decisioni a danno degli utenti stessi, di aziende, organizzazioni o istituzioni pubbliche o private.

Il caso del grossetano

A febbraio 2024 un grossetano – poi assistito dall’avvocato Marco Festelli per Confconsumatori – riceve una telefonata sul cellulare della nuora: dall’altra parte un presunto operatore bancario che gli comunica la presenza di cinque assegni – 3.750 euro complessivi – destinati alla sua società. «È l’ultimo giorno utile: deve venire subito in filiale», gli dice. Peccato che là non ci sia nessuno.

Le operazioni al bancomat

L’uomo, seguendo passo passo le istruzioni del truffatore, esegue dieci operazioni al bancomat usando una carta fornita dal falso operatore; altre operazioni le compie il figlio. Solo al termine, quando la comunicazione si interrompe, si accorge dell’inganno.

Il rifiuto della banca

Chiede il rimborso alla banca, ma la risposta è un no secco: il cliente ha digitato personalmente il pin e autorizzato ogni operazione, quindi – sostiene l’istituto – c’è colpa grave.

Il ricorso all’Abf

Il grossetano si rivolge allora all’Abf (Arbitro bancario finanziario, sede di Bologna) tramite Confconsumatori, reclamando 3.250 euro, poi ricalcolati a 2.275. Tutte le operazioni, infatti, erano semplici ricariche su una carta prepagata intestata al truffatore: ricariche ravvicinate, tutte nello stesso giorno, una dopo l’altra.

La decisione del Collegio

L’Abf riconosce la responsabilità del cliente, caduto in una trama di informazioni improbabili e guidato da un finto operatore fino a digitare lui stesso il pin e confermare le ricariche. Ma riconosce anche un concorso di colpa della banca: dalla settima operazione in poi, l’istituto avrebbe dovuto rilevare l’anomalia, attivare controlli, inviare alert o sospendere le transazioni.

Il rimborso parziale

Per questo il Collegio dispone un rimborso di 1.000 euro. Non una restituzione totale, ma comunque una decisione significativa, a quanto pare la prima del genere. L’ammissione che, davanti a tecniche di manipolazione psicologica tanto sofisticate, anche i sistemi di sicurezza bancari devono fare di più.

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