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Firenze, estorsioni e metodo mafioso: disposto il carcere per la figlia e il genero di Totò Riina

Firenze, estorsioni e metodo mafioso: disposto il carcere per la figlia e il genero di Totò Riina

Il Riesame accoglie il ricorso della Procura di Firenze: per i giudici esistono gravi indizi, pressioni e minacce per ottenere denaro da due imprenditori toscani

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FIRENZE. C'è un filo che collega le minacce a due imprenditori toscani all'eredità di sangue e potere lasciata da Totò Riina. È lungo quel filo che la Procura e la Dda di Firenze hanno ricostruito la vicenda che potrebbe portare in carcere Maria Concetta Riina e il marito Antonino Ciavarello, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il Tribunale del Riesame ha accolto l’appello dei magistrati, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, oltre al pericolo concreto di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato e  e disposto la misura cautelare in un penitenziario.

Misura non ancora applicata in attesa che diventi definitiva (potrebbe essere proposto ricorso in Cassazione). Secondo l’ordinanza firmata il 25 giugno, resa nota oggi, i due – figlia e genero del capomafia di Corleone – avrebbero messo in atto pressioni e minacce per ottenere denaro da due imprenditori del centro Italia. Le indagini, avviate nell’agosto 2024 e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, sono state affidate al Ros dei Carabinieri.

Nel mirino degli inquirenti ci sono messaggi insistenti, ossessivi, dai toni intimidatori, spediti da Maria Concetta Riina a uno dei due imprenditori. Il marito, Ciavarello, ha partecipato alle richieste anche dal carcere, dove era ristretto per una condanna definitiva per truffa. Nonostante la detenzione, è riuscito a comunicare con l’esterno utilizzando un cellulare non autorizzato, indirizzando messaggi alla moglie e a una delle persone offese. Un dettaglio che ha rafforzato l’ipotesi della Procura: i due avrebbero agito con modalità tipiche delle organizzazioni mafiose.

Il caso era stato inizialmente derubricato dal gip, che aveva respinto la richiesta di misura cautelare. Ma la Procura ha impugnato quella decisione e il collegio del Riesame ha ribaltato l’esito, stabilendo l'arresto di entrambi. Nella motivazione dell’ordinanza si legge che l’aggravante mafiosa è “configurabile” e che il pericolo di reiterazione “non può essere escluso alla luce della determinazione dimostrata dagli indagati”.

Antonino Ciavarello, già noto alla cronaca giudiziaria, ha più volte tentato di costruire una narrazione alternativa sulla sua persona. Ma il suo curriculum parla di una condanna definitiva per frode, una truffa commessa in Sicilia, un mandato d’arresto europeo eseguito a Malta e una serie di procedimenti ancora aperti. Arrestato nel 2024 ed estradato in Italia, aveva avviato nei mesi scorsi uno sciopero della fame per denunciare presunte violazioni dei suoi diritti in carcere.

Anche Maria Concetta Riina non è nuova a vicende giudiziarie. Il cognome, in questo caso, diventa strumento di pressione. Per gli inquirenti, la figlia del “capo dei capi” avrebbe sfruttato l’ascendente mafioso per costringere le vittime a cedere. L’accusa è precisa: estorsione aggravata, con l’aggravante del metodo mafioso.

Si tratta dell’ennesimo episodio che riporta alla luce le dinamiche familiari di Cosa Nostra, la saldatura tra vincoli di sangue e gestione del potere. Non è un caso se la procura parla di “modalità operative riconducibili alla tradizione mafiosa”. Perché anche al di fuori della Sicilia, lontano dai covi di Corleone, i meccanismi restano gli stessi: intimidazione, controllo, paura.

Il fascicolo aperto dalla DDA punta ora a chiarire il ruolo di ciascuno e a verificare l’esistenza di una rete più ampia. Ma intanto i giudici hanno già stabilito che la libertà dei due rappresenta un rischio. E che l’eredità di Totò Riina, anche a trent’anni dalla cattura, continua a produrre ombre e minacce.

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