Stragi nazifasciste, giustizia per Carlo Castellani: «Risarcimento alla famiglia»
La nipote dell’ex calciatore deportato: «Una vittoria morale»
MONTELUPO. «Dopo ottant’anni dalla morte e oltre due anni e mezzo tra avvocati, Tribunali e una speranza che ormai sembrava sfumata, otteniamo finalmente un barlume di giustizia». Così Carla Castellani, nipote di Carlo – ex calciatore montelupino, bomber dell’Empoli e del Livorno, deportato e ucciso nei campi di concentramento dal regime nazifascista – commenta la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze che riconosce ai familiari il ristoro del danno non patrimoniale per la deportazione a Mauthausen, l’uccisione e la distruzione del corpo nel crematorio di Gusen. «Al di là dell’eventuale somma economica – continua la nipote – otteniamo finalmente una grande vittoria morale perché la sentenza, anche se di primo grado, riconosce quella barbarie e le difficoltà che hanno vissuto i familiari. Una vittoria ottenuta dopo due anni e mezzo di attese e speranze che sembravano ormai vane».
Quella a favore dei discendenti di Carlo Castellani è la seconda sentenza “favorevole” in pochi giorni depositata dal Tribunale di Firenze: lo scorso 24 aprile hanno ottenuto giustizia i familiari di Luigi Bardini, antifascista montelupino deportato nei campi di concentramento e ucciso in un campo di sterminio in Austria. «Proprio nell’ottantesimo anniversario della Liberazione dei lager di Mauthausen, Gusen, ed Ebensee, arriva questa seconda sentenza di primo grado a favore dei familiari di uno dei 23 deportati da Montelupo Fiorentino nel 1944, solo cinque dei quali riuscirono rocambolescamente a tornare a casa. La famiglia riesce finalmente ad avere una sentenza che condanna il crimine efferato subito ingiustamente contro i diritti inviolabili della persona: un segnale di giustizia dopo tanta sofferenza», commentano il sindaco di Montelupo Simone Londi e l’assessore alla Memoria Lorenzo Nesi.
Nato nel gennaio 1909 a Fibbiana, Castellani è stato ucciso nel lager di Gusen nell’agosto del 1944 (numero 57026, prigioniero politico italiano). Di mestiere calciatore, poi commerciante di legname nella ditta del padre David. Aveva due sorelle, Giuseppina e Clara, che morirono entrambe giovanissime di spagnola. La famiglia Castellani era di idee socialiste. Nella notte del 7 marzo 1944, la “notte dell’odio”, la guardia comunale Orazio Nardini, alcuni membri della Rsi e i carabinieri si aggirarono per Montelupo rastrellando con l’inganno le persone iscritte in una lista di 30 nomi. «Il maresciallo ti vuole parlare»: questo l’invito perentorio a salire su un camion, che seguiva i forti colpi risuonati sui portoni nella notte. L’ordine di rastrellamento giunto dal III Reich fu dato in risposta agli scioperi di inizio marzo convocati dal Cln clandestino, affiancato dalla requisizione delle Scuole Leopoldine di piazza Santa Maria Novella a Firenze, da usare come campo di raccolta prima delle deportazioni da Firenze, Prato e dall’Empolese. A Montelupo nessuno aveva scioperato, ma i repubblichini usarono quella ghiotta opportunità per togliersi di mezzo oppositori, antifascisti, ma anche seguaci di Mussolini che non avevano aderito alla Repubblica di Salò dopo l’armistizio. Nella lista dei 30 c’era anche David Castellani, commerciante di legname, classe 1877, che non aveva mai preso la tessera del regime, simpatizzante socialista. David, malato, non rispose. Ad affacciarsi alla finestra fu il povero Carlo che, vista la presenza di Nardini, non si preoccupò più di tanto e si offrì di andare a sentire cosa il maresciallo dei carabinieri volesse dal padre anziano. «Torno subito», disse alla moglie Irma e ai due bambini, che dopo quella notte non videro più il padre. Carlo Castellani era commerciante in legname col padre, aveva una segheria ed era molto conosciuto perché era stato attaccante dell’Empoli calcio (record di gol battuto solo in tempi recenti da Francesco Tavano) e del Livorno in Serie A. Quando venne deportato a Mauthausen aveva 35 anni.
Come tutti gli altri fu prima portato dai carabinieri a Montelupo, poi alla caserma in piazza della Stazione a Firenze, a Villa Triste, e infine alle Scuole Leopoldine. Venne poi tradotto nei vagoni bestiame in partenza dalla stazione di Firenze, con quello che sarà poi battezzato il “Trasporto 32”, verso Mauthausen. Fu poi trasferito nell’enorme sottocampo di Gusen, insieme al compagno Ateo Rovai, che sopravvisse, e a un altro montelupino, Oreste Mancioli, deportato da Pontedera. A causa delle terribili condizioni di lavoro, dell’igiene e del rancio calcolato per far sopravvivere i prigionieri solo pochi mesi, nonostante il fisico sportivo, si ammalò di dissenteria. Ateo Rovai l’ultima sera andò a trovarlo in infermeria e Carlo gli confidò «di patire come Cristo in croce». La mattina dopo non lo trovò più.