Cecina, l’ex leader dei balneari Alberto Nencetti espulso dalla Confcommercio
L’imprenditore cecinese era il presidente livornese e toscano della sua categoria. Ha proposto un ricorso d’urgenza al tribunale civile, ma il giudice lo ha respinto
CECINA. Il 27 giugno scorso è stato espulso da Confcommercio, di cui era socio e per la quale ricopriva l’incarico di presidente del Sindacato italiano balneari di Livorno e della Toscana ed era componente del consiglio direttivo nazionale e della giunta del sindacato per «condotte e comportamenti reiterati, in palese violazione dei principi fondatori e regolatori dell’associazione, violazioni che preventivamente e in diverse occasioni erano state anche segnalate dai vari esponenti dell’organizzazione sindacale».
Il sessantaduenne balneare cecinese Alberto Nencetti, alle Gorette titolare dell’Ippocampo, dopo l’allontanamento per divergenze sul contratto dei bagnini e in merito alle decisioni prese nei confronti di alcuni associati ha proposto causa d’urgenza allo stesso collettivo di categoria chiedendo di «annullare con effetto immediato l’efficacia del provvedimento» e di «astenersi dall’adottare, eseguire o pubblicare ulteriori provvedimenti e comunicazioni lesivi della sua immagine e del suo ruolo».
Ma davanti al giudice civile Giulio Scaramuzzino, pur non nel merito ma relativamente alla mancanza dei requisiti del procedimento d’urgenza, ha avuto torto: leggendo l’ordinanza depositata nei giorni scorsi al tribunale civile di via de Larderel dovrà pagare a Confcommercio oltre tremila euro di giudizio.
L’imprenditore sessantaduenne, eletto al timone dei balneari livornesi e toscani un anno prima dell’espulsione avvenuta all’inizio dell’estate appena trascorsa, è stato assistito dall’avvocato Lorenzo Lombardi, il quale – come si evince dagli atti – ha fatto notare come «precedentemente al provvedimento di espulsione non è mai stata mossa ad opera di Nencetti alcuna contestazione formale per condotte illegittime, sconsiderate o finanche inopportune, né è mai stato avviato alcun procedimento disciplinare nei suoi confronti. Non è mai stato oggetto anche solo di semplici richiami, deplorazioni scritte o alcun altro genere di provvedimento, men che meno sospensivo oppure di ancor più grave portata».
Nencetti ha evidenziato l’assenza di contraddittorio nella decisione presa dall’associazione di categoria, che al contrario nel procedimento civile spiega di averlo convocato, ma che sarebbe stato lui a non presentarsi (il diretto interessato, che contattato dal Tirreno ha deciso di non commentare la vicenda, proprio quel giorno avrebbe avuto un impegno più importante proprio in rappresentanza dei balneari ndr). Poi «nonostante la comunicazione dell’avvenuta esclusione dalla sua qualità di socio» – si legge ancora negli atti – secondo Confcommercio «ha proseguito e reiterato le proprie condotte, tanto da rendere necessario il provvedimento di espulsione adottato dalla giunta, assunto con i caratteri dell’urgenza, proprio per evitare un aggravarsi della situazione e un enorme danno di immagine e credibilità per l’associazione».
«Ritiene il giudicante – si legge nella sentenza – che il ricorso non possa trovare accoglimento per difetto del requisito del “periculum in mora”, dato che fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso, al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito. Dalla lettura della norma si evince che, perché possa essere accolto il ricorso cautelare, sia necessario che sussistano contestualmente due elementi: il “fumus boni iuris” e il “periculum in mora”; cioè necessario che almeno a livello di cognizione sommaria venga delibata la fondatezza della domanda proponenda nel giudizio di merito (“fumus boni iuris”) e che il diritto azionato rischi di subire nelle more del giudizio di merito un pregiudizio imminente ed irreparabile (“periculum in mora”). Il pregiudizio deve, quindi, rivestire una duplice connotazione – prosegue il giudice – precisamente, dal punto di vista temporale, deve trattarsi di un pregiudizio imminente, ovvero che rischierebbe di avverarsi durante il tempo occorrente per la tutela ordinaria del diritto; la situazione di pericolo per il diritto deve essere oggettiva, reale e attuale.
Dal punto di vista contenutistico deve trattarsi di un pregiudizio irreparabile, ovvero che non sia integralmente rimediabile con le tecniche risarcitorie per equivalente o con gli strumenti di reintegrazione in forma specifica. Nel caso di specie, a ben vedere, parte ricorrente allegava un conclamato danno alla reputazione e all’immagine, da cui deriverebbe anche un danno patrimoniale, in quanto “la genericità e fumosità degli addebiti è, inoltre, essa stessa foriera di ulteriore pregiudizio, alimentando congetture e supposizioni, tanto infondate quanto diffamanti, circa eventuali e denegate condotte illecite del ricorrente”, oltre ad un danno esistenziale e morale. Tuttavia, sul punto, è lo stesso ricorrente che espressamente dà atto che “ad oggi, infatti, la notizia dell’avvenuta esclusione e perdita di ogni carica di rappresentanza non è ancora, per fortuna, balzata agli onori della cronaca”. Inoltre il ricorrente – conclude il giudice – nulla allega neanche in ordine al presunto danno patrimoniale dallo stesso patito in conseguenza del provvedimento di espulsione dalla carica di socio, la quale peraltro, come correttamente rilevato dalla controparte, ha carattere onorifico, cioè senza che sia previsto alcun compenso per l’attività svolta».
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