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Imprenditrice della Versilia minacciata di morte dal marito

di Gabriele Buffoni
Imprenditrice della Versilia minacciata di morte dal marito

Si è rivolta alla Casa delle Donne: «Era il classico insospettabile, molti i casi come il suo»

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VIAREGGIO. Davanti all’ingresso del centro antiviolenza della Casa delle Donne di Viareggio è passata molte volte. Centinaia addirittura. «Ma mai ho trovato il coraggio di entrare». Finché un giorno «mi ha minacciata di morte, dicendo che nostro figlio sarebbe rimasto presto orfano di madre. In quel momento ho capito che dovevo trovare il coraggio di fare questo passo, e adesso che ne ho parlato e ho iniziato questo percorso sono contenta di non sentirmi più sola: ho trovato invece una realtà che mi ha sostenuto e protetto fin dall’inizio».

A parlare è Irene (nome di fantasia per proteggere la privacy della donna), vittima per anni di violenza domestica che più di tutte è l’esempio di quanto questo fenomeno sia trasversale e, ormai, non investa più soltanto le classi sociali più povere ed emarginate. Lei, come il marito violento, è un’imprenditrice versiliese. Entrambi sono laureati, hanno attività ben avviate, vivono in una condizione di agiatezza economica anche superiore alla media. Eppure, nonostante all’apparenza sia una persona socialmente stimata e rispettabile, tra le mura di casa il marito cambiava volto: l’ha minacciata e picchiata più e più volte, costretta a subire angherie e violenze sia fisiche che psicologiche per molto tempo, fino a quell’intimidazione di morte che è stata per lei la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «Era il classico insospettabile – commenta Elisa Petrini, coordintrice del centro antiviolenza di Viareggio – e come lui, a Viareggio e nel resto della Versilia, ce ne sono molti. Di ogni ceto sociale, di ogni nazionalità: ormai non ci sono limiti entro i quali si può circoscrivere il fenomeno della violenza sulle donne».

Pericolo senza sosta

La Casa delle Donne di Viareggio festeggerà nel 2026 i 30 anni di attività sul territorio. Una realtà ormai consolidata e che rappresenta un baluardo al contrasto, alla prevenzione e alla sensibilizzazione (attraverso numerose iniziative, tra cui «anche una nuova campagna nelle scuole di tutta la provincia di Lucca che partirà a settembre», ricorda la presidente Ersilia Raffaelli) contro la violenza sulle donne. È dal report del lavoro delle operatrici del centro che emerge la fotografia del fenomeno, sempre più dilagante, che coinvolge il nostro territorio.

Dal 2001 a oggi «abbiamo 3.230 percorsi attivati, ma in realtà il numero di donne che sono passate da noi e con cui abbiamo parlato è molto più elevato – racconta Elisa Petrini – in media riceviamo più di 600 telefonate all’anno, tra cui molte richieste d’aiuto. Nel 2024 ne abbiamo ricevute 610, di cui al 31 dicembre scorso 217 si erano trasformate in veri e propri percorsi attivati con il centro antiviolenza: di queste, 140 riguardavano donne “nuove”, che hanno iniziato lo scorso anno il percorso di uscita da una condizione di pericolo e di violenza». Nel 2025 la situazione non è cambiata. Anzi, nei primi sette mesi di quest’anno «i percorsi attivati sono già 140, di cui 78 riguardano donne che per la prima volta si sono rivolte al centro antiviolenza». «Significa che nel tempo sempre più donne riescono a trovare il coraggio di farsi avanti e di uscire dal silenzio – prosegue la presidente Raffaelli – molto ha fatto anche il passaparola, che ha portato molte donne vittime di violenza a capire che attraverso la Casa delle Donne possono trovare gratuitamente supporto, anche legale, in tutto il percorso per uscire da una condizione di violenza. Le nostre operatrici inoltre – conclude – sono formate anche per effettuare una valutazione del rischio per le donne che ci chiedono aiuto, e capire quindi in via preventiva se ci sia bisogno o meno di un livello maggiore di protezione».

Protocollo di sicurezza

Nell’arco di questi sette mesi «abbiamo donne in carico al nostro centro le cui situazioni sono state valutate a rischio alto o molto alto – racconta Petrini – significa con possibilità concreta che si sfoci in casi di femminicidio, diverse anche con provvedimenti di allontanamento nei confronti dei mariti o compagni già attivati dalle autorità competenti. Anche se non sono mancati casi di malfunzionamenti dei braccialetti elettronici. In questi casi – spiega – noi diamo alle donne la possibilità di attivare percorsi di protezione attraverso anche case sicure a indirizzo segreto, perché poi è una scelta che, per quanto difficile, deve essere compiuta da loro stesse».

Le case rifugio possono essere «case di emergenza, per le donne che si rivolgono al pronto soccorso o alle forze dell’ordine lamentando di trovarsi in pericolo di vita – spiega Lara Turrini, coordinatrice delle case rifugio del centro antiviolenza – poi ci sono alloggi lontani dal territorio che accolgono donne ed eventuali figli che necessitano una protezione aggiuntiva, permettendo loro di seguire un percorso di reinserimento e di rifarsi una vita in autonomia: nel nostro caso quindi accogliamo donne da altre parti della Toscana e da fuori regione. Infine le case di seconda accoglienza, dove vengono ospitate donne per le quali il rischio si è abbassato e possono così concludere il loro percorso di autonomia anche lavorativa».

Ci sono infatti «percorsi che abbiamo attivato con tante aziende del territorio grazie al finanziamento di Cassa di Risparmio di Lucca – spiega Turrini – che permettono di attivare tirocini già finanziati e che dunque sono da un lato molto convenienti per le aziende, dall’altro essenziali per queste donne che necessitano di ritagliarsi una propria professionalità. Alle imprese del territorio – conclude – va il nostro appello affinché si facciano avanti: per queste donne sono risorse fondamentali». 

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