Aveva due aneurismi: salvato grazie alla cardiochirurgia del dottor Murzi
La metodologia è stata attuata dallo staff dell’Opa con il versiliese Murzi
FORTE DEI MARMI. C’è anche la firma di un medico versiliese di riconosciuta preparazione professionale come Michele Murzi nell’intervento chirurgico che potrebbe aprire una nuova frontiera nel campo della cardiochirurgia. Intervento, probabilmente il primo al mondo del genere le cui modalità saranno pubblicate sulle riviste mediche internazionali specializzate, effettuato qualche settimana fa all’Opa di Massa su un paziente di 70 anni affetto da aneurisma dell’aorta ascendente e dell’aorta discendente per un quadro d’assieme sicuramente critico. Ad eseguirlo un team multidisciplinare dedicato esclusivamente alle patologie dell’aorta, formato da cardiochirurghi e chirurghi vascolari: oltre a Murzi lo staff è infatti composto da Silvia Di Sibio, Pier Andrea Farneti, Giovanni Credi – direttore della chirurgia vascolare del Noa – Cataldo Palmieri e Antonio Rizza.
«La particolarità di questo intervento – le parole di Murzi – è che riduce i rischi di mortalità connessi all’intervento stesso, è molto meno impattante e invalidante per il paziente per un recupero conseguente più agevole pur nella complessità del quadro generale. Entrando nei dettagli – prosegue Murzi – invece che eseguire un unico intervento, come si fa da tempo, appunto molto invasivo con ipotermia profonda ed arresto di circolo, abbiamo effettuato un primo step posizionando una protesi innovativa per trattare la parte discendente e dell’arco aortico e a distanza di un mese abbiamo eseguito un secondo intervento chirurgico con un piccolo taglio sullo sterno per poi rimuovere l’aneurisma dell’aorta ascendente evitando l’ipotermia e l’arresto di circolo, che sono gravati da un rischio operatorio alto».Un’altra particolarità «sta nel fatto che la protesi che abbiamo usato nel primo intervento ha una piccola derivazione (un tubicino) che viene infilato nell’arteria succlavia permettendo quindi di rivascolarizzare, come in questo caso. Cosa fondamentale ma fino ad oggi impossibile con le altre protesi. Come sta il paziente? Bene, sono trascorsi due mesi dalla prima operazione e i controlli hanno dato esito soddisfacente. Abbiamo appunto voluto attendere il decorso prima di rendere pubblico il tutto» precisa Murzi.
Intervento che nel rilanciare il primato dell’Opa nel campo della cardiochirurgia come detto rappresenta una sorta di nuova frontiera per tutte le patologie collegate all’aorta.
«Siamo passati, grazie a questa nuova tecnica, da un intervento chirurgico di 12, 14 ore a due interventi, distanziati nel tempo, dalla durata complessiva di circa 4 ore. L’obiettivo è quello di arrivare ad operazioni chirurgiche meno invasive per il paziente, ma ottenendo sempre i soliti risultati. Tutto questo è però possibile solamente se, come in questo caso, si può contare su uno staff – quello dell’Opa si chiama aortic team – che può avvalersi di diverse professionalità sia nel campo della cardiochirurgia che in quella endoscopica vascolare. Probabilmente, come da premessa – la chiosa dei medici – quello di cui stiamo parlando è il primo caso al mondo e, visti gli esiti, può diventare una procedura standard già nel prossimo futuro».