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Neonato morto a Roma, il primario del Versilia: «Vi spiego perché il "rooming in" è una pratica sicura ed efficace»

di Matteo Tuccini
Neonato morto a Roma, il primario del Versilia: «Vi spiego perché il "rooming in" è una pratica sicura ed efficace»

Le indicazioni di Luigi Gagliardi dopo il caso del piccolo morto per soffocamento: «È una forma di assistenza che deve essere vissuta in ogni caso come una scelta libera della mamma e mai come un’imposizione della struttura sanitaria»

26 gennaio 2023
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VIAREGGIO. È una delle vicende che in questi giorni hanno choccato tutti. Genitori in primis. Perché chiunque abbia avuto un figlio sa cosa significhi dover gestire le sue prime ore, e i suoi primi giorni, mentre la mamma è profondamente provata dal parto.

Il caso del neonato deceduto a Roma causa soffocamento, perché la madre che lo teneva in grembo si è addormentata, sta facendo discutere. Da qui la decisione del dottor Luigi Gagliardi, neonatologo e primario al Versilia, oltre che direttore del dipartimento Materno-infantile dell’Asl, di intervenire per alcuni chiarimenti. E soprattutto per precisare, a scanso di equivoci, che la pratica ospedaliera del rooming in – cioè tenere il neonato in stanza con la mamma, anche nelle ore del sonno – deve avvenire necessariamente in massima sicurezza. «Perciò – spiega Gagliardi – le mamme devono chiedere aiuto, e non fare le supereroine. Mentre chi sta loro accanto, i familiari come il personale sanitario, deve intervenire a supporto quando serve». In questo modo si garantisce la sicurezza e si evitano eventi nefasti.

«La pratica del rooming in, ormai consolidata nei nostri reparti ospedalieri – spiega Gagliardi – si lega anche al corretto avvio dell’allattamento al seno, oltre che alla cura e alla gestione del neonato. Inoltre, rappresenta un fattore di ulteriore sicurezza del neonato, che è più protetto da contatti esterni in questa fase iniziale della vita. Per quanto riguarda la condizione del co-sleeping (mamma e bambino che dormono nello stesso letto), come dicono le società scientifiche, che sono intervenute sulla questione, “la condivisione del letto fra una madre vigile e un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile”».

Come in ogni altra situazione legata alla salute e alla gestione del bambino, «è però necessaria grande attenzione da parte della madre e degli altri familiari, che devono essere adeguatamente informati, coinvolti e supportati, anche dal punto di vista psicologico – continua il primario – È del tutto naturale che una mamma, dopo il parto, possa sentirsi stanchissima, anzi esausta, e possa aver bisogno di aiuto e di sostegno. Il rooming in deve essere vissuto in ogni caso come una scelta libera della mamma e mai come un’imposizione della struttura sanitaria. Non vorrei banalizzare, ma è una situazione simile a quando siamo alla guida della nostra auto: se ci accorgiamo che non siamo completamente lucidi, prima di addormentarci, possiamo fermarci un attimo o magari far guidare qualcuno che è al nostro fianco. Così si evitano tragedie. Alla stessa maniera – dice Gagliardi – se una donna ha con sé il proprio piccolo e capisce di essere vicina ad assopirsi, può affidare il bambino a un familiare o a un operatore sanitario. Non bisogna mai fare i supereroi. Questa attenzione è richiesta per i primi sei mesi di vita, quindi anche oltre la permanenza di madre e neonato nel punto nascita dell’ospedale».

Il primario incoraggia a non fare passi indietro sul rooming-in. «La paura è sempre una cattiva consigliera, ma dobbiamo avere consapevolezza e rispetto del momento di fragilità della mamma e del suo bambino. Il nostro personale – conclude Gagliardi – è ovviamente a disposizione, in aiuto alle mamme e ai familiari, e anche per fornire tutte le informazioni e i chiarimenti necessari, su una tematica oggi molto analizzata e dibattuta anche sugli organi d’informazione e sui social»


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