La Versilia e il Sessantotto
Dalle rivolte popolari studentesche agli incidenti alla Bussola di Focette
VIAREGGIO. Il Sessantotto, cinquant’anni fa, fu anche a Viareggio un anno di grandi fermenti, molte speranze, spettacolari carnevali, canzoni, pugnalate, tante illusioni. Anche qui in Versilia la politica si cominciò a fare al di fuori delle sedi istituzionali (sedi di partito, consigli comunali, assemblee sindacali). Esplosero semmai le piazze, piazza Margherita su tutte, e per mesi e mesi i caffè - dal bar Casani al bar Manetti al Casablanca - si infiammarono di discorsi e dibattitti accesi. Sorsero nuovi personaggi portatori di libri, giornali, miti che, dopo il “boom” degli anni 50-60, si pensavano sopiti. E le effigi di Che Guevara e Mao-Tse-Tung divennero icone familiari in casa e nei ritrovi.
Si rammenta quest’anno il ’68. Escono studi, romanzi, saggi. In uno di questi, scritto da Enrico Deaglio Patria-1967-1977, Viareggio vi è ricordata per i noti fatti della Bussola. Ma già Marco Montemagni nel suo brillante e diffuso Alla ricerca della sinistra perduta dedica a quelli del Movimento che animarono il ’68 viareggino molti capitoli.
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Di recente poi, in un noto ristorante, parecchi reduci di quell’età si sono ritrovati per rievocare compagni perduti, fatti esemplari, personali vicende. Sicché è possibile ricostruire un tempo quando non ci si identificava soltanto con il “Tuca tuca” di Raffaella Carrà e la Giulietta spider ma, da parte di parecchi giovani (che ancora non confondevano Austerlitz con Auschwitz), si bevevano avidamente i testi di Herbert Marcuse, filosofo tedesco trapiantato negli Usa, di Noam Chomsky, linguista americano, e giornali quali “Il Manifesto”, “Potere Operaio” e “Lotta Continua”.
A Viareggio tutto cominciò nel ’67 da una rivolta popolare in Piazza grande il 3 febbraio 1967. Più di mille studenti delle scuole superiori organizzarono un corteo per protestare contro la riforma Gui dell’Università. Sul ponte girante il corteo venne affrontato della polizia. Vi furono cariche violente e tre ragazzi, Giovanni Naldi, 18 anni, Michele Farina, 14 anni, Francesco Segato, 17 anni, rimasero feriti.
In città, anche perché tra gli studenti vi erano parecchi figli di famiglie “importanti”, montò immediata l’indignazione. Una folla enorme si accalcò allora davanti al Commissariato minacciando di occuparlo. All’interno gli agenti, spaventati, misero mano alle armi, pronti a difendersi. Sarebbe potuto accadere davvero il peggio.
Il commissariato capo dottor Di Mambro non risultava all’altezza della situazione (infatti venne poi rimosso e trasferito). Però i dirigenti locali dell’allora Pci, che erano il segretario Lino Federigi, i consiglieri comunali Giuseppe Antonini e Sergio Breschi, intervennero decisamente sulla folla e riuscirono a riportare la calma.
Vi furono, dopo, uno sciopero generale proclamato dalla Camera del Lavoro, due diverse interrogazioni parlamentari (di Francesco Malfatti Pci, di Maria Eletta Martini e Loris Biagioni della Dc). Però il sasso lanciato prese a fermentare idee rivoluzionarie e, così come accadeva in Francia (a Parigi) e a Roma, si formarono gruppi di “contestatori” totali.
Al liceo scientifico di Viareggio, sotto un clima bohèmien, si riunivano così Marco Montemagni, Roberto Mencarini, Oreste Puccinelli, Egisto Sani, Alessandro Casagrande, Pier Antonio Vassalle, Franco Leverone, Massimo De Cristoforo e furono organizzate roventi assemblee all’Arengo e al palazzo delle Muse.
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Molti, a cominciare da Montemagni, dettero vita al gruppo de “Il Manifesto” che venne accolto nei locali del bar “Menghino” da Giovanni Lazzerini, artista e pittore di fama, nonché costruttore di carri del carnevale bellissimi. Poi da Pisa dove operava, all’Università, Adriano Sofri (e vi era anche Ovidio Bompressi) si formò un primo gruppo de “Il potere operario” (vi aderivano Beppe Donatelli detto “Beppe Bugia”, noto carnevalaro e canzonettista) e Luigi Ordavo. Da qui si passò poi alla più organizzata “Lotta Continua” con a Massa Ovidio Bompressi (poi accusato di aver fatto parte del comando che sparò al commissario Luigi Calabresi) e a Viareggio Stefano Poletti, Roberto Mencarini, Oreste Puccinelli, Riccardo Antonini, Claudio Petruccioli, Alfredo Simoncini, Umberto Franceschini, Giorgio di Giorgio.
“Lotta Continua” divenne un quasi partito. E dovendo trovare finanziamenti ricorse al “compagno” Claudio Poleschi, notissimo gallerista, che fece in modo di far ottenere al movimento quadri di Mino Maccari, Giorgio De Chirico, Castellani, Schifano. Li raccoglievano Bompressi e Franceschini che gestiva un’avviata macelleria. I quadri venivano venduti all’asta. Il gruppo ebbe anche varie sedi. Prima si riuniva al bagno “Giovanna” poi in piazza del Mercato poi al Varignano.
Le parole d’ordine erano tonanti: “Basta con la sporca guerra del Vietnam”, “Fuori l’Italia dalla Nato”, “No all’imperialismo”, “Morte ai padroni”. Da Roma e da Pisa si decise così l’assalto a la “Bussola” per la notte di Capodanno ’68-69. Una manifestazione simile si era già svolta a Milano contro il pubblico della “Scala”. Qui, a Focette, intervennero gruppi di Pisa, di Viareggio, di Massa Carrara. Erano armati di pomodori e mazze. Sergio Bernardini, patron del locale, rimase esterrefatto dall’accesa contestazione. Alcune signore in pelliccia vennero colpite dai lanci. Allora i pochi carabinieri che presidiavano affrontarono i contestatori. Ch’erano tanti. Qualcuno disse di aver visto sparare i carabinieri. Loro poi smentirono. Fatto è che rimase ferito un giovane pisano, Soriano Ceccanti (colpito da una pallottola alla spina dorsale). Cinquantacinque manifestanti vennero fermati. Si ebbero poi numerosi processi ed il “Nuovo canzoniere pisano” vi dedicò una ballata che concludeva “Sparan davvero”. Ma la verità non venne mai fuori.
La cultura italiana nel ’68 si allineò ai giovani. A parte Pier Paolo Pasolini che si schierò dalla parte dei poliziotti, gli intellettuali aderirono al movimento. Dario Fo e Franca Rame vennero a far spettacolo a Viareggio. Giorgio Gaber e Sandro Luporini frequentarono un ristorante in via Regia, “Checco” e Mariangela Melato (allora in liason con Gaber) si univa al gruppo e pagava i conti.
Nel successivo Carnevale Silvano Avanzini fece “Il Padrone” mentre Menghino Lazzarini, ormai espulso dal Pci di Francesco Da Prato, avrebbe inneggiato con un gatto “rossissimo” a Mao. Con lui vi era Oreste Lazzari uno dei maoisti viareggini più in vista.
E la destra stava a guardare? Affatto. Alcuni esponenti di destra guidati dall’onorevole Boschiero, presente il comandante Valerio Borghese, presero a muoversi in Versilia. Al bar “Versilia” a Lido di Camaiore si ritrovarono così parecchi elementi della destra eversiva cacciati da Trieste. Uno dei principali esponenti di “Lotta continua”, Stefano Poletti, che vendeva il giornale in strada, venne allora pugnalato. L’estrema sinistra decise per ritorsione di “punire” il ritrovo. Il bar venne preso di assalto ed incendiato. Vi furono anche qui feriti ed arresti. Poi uno strascico delle lotte si ebbe anche nel caso Lavorini.
A Viareggio governava una giunta “di sinistra” guidata dall’avvocato Renato Berchielli. Quando fu rapito Ermanno Lavorini alcuni inquirenti incolparono gli ambienti progressisti, giudicati colpevoli di un clima di “rilassamento morale”. Boschiero fece affiggere manifesti in tal senso. Berchielli e altri socialisti (Martinotti, Zacconi) vennero inquisiti. Poi si seppe che Ermanno Lavorini era stato semmai ucciso a bastonate da ragazzi della medesima età, di tendenza monarchica. Gli ultimi bagliori s’infiammarono nel ’72 per un comizio del filosofo neofascista Armando Plebe in piazza Margherita. I contestatori tentarono di bloccare il comizio. I carabinieri, questa volta tanti, a colpi di lacrimogeni, riuscirono ad arginare i violenti. In mezzo al trambusto capitò anche Mario Colzi, assessore repubblicano alla Polizia urbana, che, nonostante gridasse le proprie generalità, fu malmenato dalle forze dell’ordine. Molti dei protagonisti del tempo che ancora vivono a Viareggio ricordano con nostalgia ed affetto quella stagione. Altri cambiarono strada. Gaber, fra tutti, su parole di Luporini, prese a cantare malinconicamente la suggestione delle speranze deluse. Il 1968, cinquant’anni fa, resta comunque nelle cronache e nei cuori. Dai più dimenticato.