Romanzo sequestrato perché ritenuto diffamatorio: scagionato lo scrittore
Il giallo “Falso binario” di Divier Nelli fu ritirato nel 2004: dodici anni dopo la Corte d’Appello di Perugia proscioglie l'autore viareggino
VIAREGGIO. Sì è concluso ieri mattina con un proscioglimento per intervenuta prescrizione, il processo a carico dello scrittore viareggino Divier Nelli, accusato di diffamazione aggravata della memoria di un defunto a mezza stampa. Dodici anni fa, nel 2004, nel thriller Falso Binario pubblicato da Passigli Editore, Divier Nelli aveva ricostruito una vicenda che aveva scosso la città in epoca fascista, indicando nome e cognome del mandante dell'efferato delitto del diciottenne Ottavio Barsottelli. A difendere lo scrittore l'avvocato penalista Aldo Lasagna. La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d'Appello di Perugia, presieduta dal dottor Pierucci. In primo grado si era pronunciato sul caso il Tribunale di Città di Castello, città dove è stato materialmente stampato il libro pubblicato dalla casa editrice fiorentina, che aveva condannato lo scrittore a due mesi di reclusione (pena sospesa).
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Un giallo nel giallo. La vicenda risale all'estate del 2004, quando nelle librerie esce Falso Binario, secondo romanzo dell'allora trentenne Divier Nelli e che segue il successo di "Contessa", sua opera d'esordio. In realtà, nella trama del giallo, l'omicidio di Ottavio Barsottelli riveste un aspetto secondario in tutta la storia. Nelli lo utilizza infatti come vicenda "storica" parallela da affiancare all'indagine principale, quest'ultima ambientata ai giorni nostri (e completamente inventata) e che ha per protagonista un fotografo di moda morto sotto un treno. La brutta fine del fotografo richiama alla mente del maresciallo dei carabinieri che indaga sul caso l'omicidio (questo vero) di Ottavio Barsottelli, avvenuto in pieno ventennio fascista. Così, nel libro, mentre il maresciallo indaga sulla morte del fotografo, contemporaneamente ricostruisce anche quel primo, lontanissimo delitto.
Conclusioni contestate. A non andar giù ai familiari dell'uomo indicato come l'assassino di Barsottelli sono le conclusioni tratte da Divier Nelli. Proprio nell'ultima pagina del romanzo, infatti, il maresciallo partorito dalla fantasia dello scrittore viareggino svela il nome dell'autore dell'omicidio. Si legge infatti nel (contestato) finale: «Adesso aveva la certezza sull'identità del prepotente caposquadra fascista autore di una serie inenarrabile di misfatti (fra cui l'omicidio Barsottelli, ndr)».
Il romanzo prosegue: «Prima di eseguire la sentenza, i partigiani lo interrogarono su molte questioni. Gli chiesero anche del delitto Barsottelli. Lui, sprezzante com'era sempre stato, rispose di non sapere nulla. Piuttosto di dare una soddisfazione agli antifascisti, aveva deciso di portare il mistero con sé, nella tomba».
Parole che hanno il sapore di una sentenza. Ma una sentenza che incolpa il caposquadra fascista, su quel caso che in quei lontani anni Trenta divise Viareggio, non c'è mai stata. Anzi, l'unico verdetto mai pronunciato in un'aula giudiziaria condannò all'ergastolo per quell'omicidio Fausto Zappelli e Ferruccio Maurri, poi graziati nel 1959 dall'allora presidente Giovanni Gronchi dopo una raccolta di firme fatta in città. Così i familiari di Casella hanno deciso di ricorrere alla magistratura. Riuscendo anche ad ottenere il sequestro del libro.
Dodici anni per la sentenza. A dodici anni di distanza - con Divier Nelli che nel frattempo è diventato un affermato scrittore nazionale - arriva dunque la parola fine alla vicenda giudiziaria. Dopo la condanna in primo grado a due mesi di reclusione pronunciata dal Tribunale di Città di Castello, ieri in Corte d'Assiste a Perugia è arrivato il proscioglimento per intervenuta prescrizione (i tempi della prescrizione, per questo genere di reato, sono sette anni). «Adesso faremo istanza perché anche il libro che all'epoca fu sequestrato possa finalmente essere rimesso in commercio», commenta soddisfatto l'avvocato Aldo Lasagna, difensore di Divier Nelli. E anche per lo scrittore viareggino - nel frattempo trasferitosi ad Impruneta - si chiude un capitolo di cui avrebbe preferito non essere protagonista. «Ero sicuro che la vicenda si sarebbe chiusa positivamente - aggiunge - ma dopo dodici anni sono finalmente contento di essere arrivato ad una conclusione. Basti pensare che nel frattempo due dei testimoni che avevo chiamato a mia difesa (Didala Ghilarducci e Giuseppe Antonini, ndr) nel frattempo sono morti».