Sigfrido Ranucci: «Traffico d’armi, c’è una pista che porta in Toscana»
Il servizio andrà in onda domenica prossima: «Si annuncia una puntata molto densa»
FIRENZE. «Lamentarsi della professionalità e dell’indipendenza di Report è come se il Papa si lamentasse del Giubileo». Sigfrido Ranucci è a Firenze per presentare lo spettacolo “Diario di un trapezzista” tratto dal suo libro “La scelta” (Bompiani) ma a tenere banco sono gli attacchi che sta ricevendo dal centrodestra dopo i servizi di Report sull’indipendenza del Garante della privacy. Giubbotto di pelle, mani in tasca e barba di qualche giorno, Ranucci non cede di un centimetro, ribatte colpo su colpo e addirittura rilancia, dando appuntamento alla prossima puntata «Molto densa – racconta –, ci sarà il caso Almasri con delle novità. Parleremo anche di un’altra vicenda: un presunto traffico di armi che dal Veneto porta in Toscana».
Le zone d’ombra
«Credo che il giornalismo d’inchiesta sia un valore inalienabile dell’umanità – esordisce Ranucci – dà coraggio a chi lo fa e dà coraggio a chi lo ascolta e lo vede perché dà il senso che possono cambiare le cose». E se il dibattito politico si è acceso intorno alla reale indipendenza del Garante della privacy lo si deve proprio ai servizi di Report. Non ultimo quello andato in onda domenica scorsa sulla multa a Meta per i primi modelli di “smart glasses”. La cifra iniziale di 44 milioni di euro sarebbe stata ridotta a 12 milioni, ipotizza Report, dopo un incontro tra un dirigente dell’azienda di Facebook e il componente in quota FdI del Garante Agostino Ghiglia. «Il giornalismo d’inchiesta illumina delle zone d’ombra, e sono spesso delle zone che il potere, la politica non vuole che vengano illuminate – dice Ranucci – e noi invece siamo qui e continuiamo tenacemente ad illuminarle». Dopo la multa di 150mila euro a Report per presunte violazioni sulla messa in onda di messaggi privati dell’ex ministro Sangiuliano e le pressioni per non mandare in onda la puntata su Meta, l’ultimo attacco porta la firma del deputato FdI Federico Mollicone, che ha dato di «analfabeti istituzionali» ai giornalisti di Report, programma «di giornalismo militante» la cui multa «poteva essere più salata». «Mollicone dice che siamo degli analfabeti istituzionali e non conosciamo le leggi? Non è vero – replica Ranucci – A noi capita più spesso di trovare i politici che non conoscono le leggi che loro stessi hanno scritto. Se noi abbiamo la fedina penale ancora pulita è perché le leggi le conosciamo bene».
«Il mostro»
«Credo che quella dell’Authority sia una delle pagine più brutte della democrazia degli ultimi anni – commenta il giornalista – Noi erano due anni che stavamo dietro al Garante. La dimostrazione è la mole della documentazione che abbiamo prodotto e che giustifica tutto questo grande lavoro. Adesso che facciano un atto di coscienza e decidano in base a quello che hanno visto, perché quello che hanno visto non è frutto di un furto o di un’appropriazione indebita – precisa – sono informazioni che ci sono state date dentro quell’ufficio e se dentro quell’ufficio ci sono dei dipendenti che non ne potevano più di quell’andazzo vergognoso, ci sarà un motivo. La politica ha scoperto di aver creato un mostro – conclude – Il Parlamento non si è dotato di uno strumento per far decadere, se non funziona, l’Authority, e questo è un fatto grave». Illuminata la zona d’ombra insomma, adesso ci si attende che qualcosa cambi. «Devo dire che mi ha colpito la dichiarazione della premier quando ha detto che l’Authority non è roba sua – sottolinea Ranucci – come se non fosse parte importante e integrante del funzionamento di un’autorità che dovrebbe garantire la protezione dei cittadini, dei loro dati e dovrebbe far funzionare la macchina democratica. Ecco, la premier non può dire che quella roba non gli interessa, che non è cosa sua, anche perché ci sono dentro dei membri eletti direttamente dal partito e anche dalla Lega».
Chi è stato?
Le polemiche e le reazioni alle inchieste di Report procedono ormai di pari passo con gli aggiornamenti di un’altra inchiesta, quella della magistratura sull’attentato che la sera del 16 ottobre ha fatto saltare in aria l’auto di Sigfrido Ranucci. Quanto alla solidarietà che ne è seguita, c’è stata «una quantità di ipocrisia tale, soprattutto da certa politica, che non mi aspettavo – racconta Ranucci, sotto scorta dal 2021 – Sapevo che la solidarietà contava poco e l’abbiamo misurata nella commissione di vigilanza. Convocata per la prima volta dopo un anno per manifestare solidarietà, è diventata l’ennesima commissione di vigilanza dove mi si accusava di non fare correttamente le cose. Piuttosto che l’ipocrisia, piuttosto che vestirsi di false trasparenze – conclude – è meglio apparire nudi». Il conduttore di Report non si tira indietro nemmeno parlando dell’attentato. «Non so a cosa è legato – comincia – abbiamo ipotizzato due o tre temi che devono ancora andare in onda e che sono il frutto di inchieste giornalistiche. Uno di questi è quello dell’eolico a Verona. Un argomento molto, molto serio – aggiunge – ce l’ha detto un collaboratore di giustizia che proprio il giorno dell’attentato è stato spostato da un’altra parte e messo in sicurezza e non sappiamo i motivi di tale urgenza se non questa coincidenza temporale che insomma potrebbe far pensare qualcosa». E le inchieste di Report continuano. Domenica sera un nuovo capitolo sul caso Almasri e l’inchiesta che dal Veneto porta in Toscana. «Nata – conclude – dal ritrovamento di mitragliatrici che Report ha fatto il 15 settembre in un cantiere navale di Adria».
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