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Balneari, sentenza choc: le opere non amovibili vanno gratis allo Stato – Respinto il ricorso di uno stabilimento toscano

di Matteo Tuccini

	I bagni Ausonia
I bagni Ausonia

La sentenza del Consiglio di Stato sul caso dei Bagni Ausonia di Castiglioncello è stata pubblicata il 14 ottobre. Il rischio è che le centinaia di strutture fisse costruite sulla spiaggia possano essere acquisite gratis dal patrimonio pubblico

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Tutti e 900 gli stabilimenti balneari della Toscana, con annessi bar, ristoranti, piccoli appartamenti, case del guardiano. Ma anche discoteche e negozi. Un intero sistema economico costruito negli anni sul litorale rischia di finire nelle mani dello Stato, in quella che sarebbe una delle più grandi operazioni di passaggio dalla proprietà privata a quella pubblica.

È lo scenario, clamoroso, che si prospetta dopo la sentenza del Consiglio di Stato sul caso dei Bagni Ausonia di Castiglioncello. Un contenzioso, questo, che va avanti da tempo, per via delle strutture considerate “incamerate”. Cioè acquisite al patrimonio statale, per cui lo stabilimento paga canoni più alti. Una vicenda su cui il massimo tribunale amministrativo del Paese si è pronunciato, con sentenza pubblicata il 14 ottobre. Il succo è: in base all’articolo 49 del Codice della navigazione, quando le concessioni balneari verranno dichiarate concluse – entro l’estate 2027 – per essere poi riaffidate tramite le cosiddette “aste”, le centinaia di strutture costruite sulla spiaggia e considerate non amovibili, cioè non spostabili, saranno acquisite gratis dal patrimonio pubblico. Finiranno, cioè, in mano allo Stato, senza l’esborso di un solo euro.

Il Consiglio di Stato, le cui parole emergono negli stessi giorni in cui il ministro Matteo Salvini prometteva di abolire l’articolo 49 del vecchio Codice, nella sostanza ribadisce leggi note. Ma la forma usata è di chi ritiene che siamo di fronte a un’evoluzione della materia, come scrivono gli stessi giudici, che porterà a un cambiamento epocale. Niente più proroghe per le concessioni balneari, per definizione considerate precarie «nel senso che hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili», si sottolinea nella sentenza. E la procedura di incameramento, cioè di acquisizione del bene privato costruito su suolo pubblico, non è in contrasto con il diritto europeo come contestato dai balneari, perché «costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio». Cioè della spiaggia, che non può essere venduta.

In pratica agli imprenditori privati che hanno costruito sulle spiagge viene riconosciuto nient’altro che un diritto di superficie: «La perdita della proprietà delle opere realizzate non può che ricondursi a una libera scelta imprenditoriale del privato», si prosegue, spiegando che l’indennizzo oggi richiesto dalla categoria andava preteso all’inizio della concessione, o al limite nelle fasi di rinnovo. Ma non adesso. Ciò comunque non esclude la possibilità di chiedere un riconoscimento degli investimenti, purché «non ammortizzati». Inoltre, ed è un altro passaggio determinante, una volta incamerati i beni che si trovano sulle spiagge i canoni delle concessioni verranno aumentati in maniera considerevole: «Si è progressivamente fatta strada la tendenza ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico», così da consentire «alla pubblica amministrazione un incremento delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati».

I balneari, pur consapevoli che si tratta di argomenti ormai triti e ripetuti, sono sgomenti: «Rischiamo di perdere tutto – dice Luca Petrucci, presidente del sindacato Sib Confcommercio Versilia-Massa Carrara – L’unica alternativa è considerare le strutture “di facile rimozione”, come abbiamo sempre sostenuto». A quel punto, però, dovrebbero essere tolte completamente di mezzo, di fatto riconsegnando la spiaggia “spianata”. Secondo Cristiano Pezzini, vicepresidente regionale Fiba Confesercenti, «dobbiamo far capire alla Regione che si prospetta davanti un esproprio come non si è mai visto da nessuna parte. E con un mutamento del Dna del turismo balneare. Che causerà una futura divisione netta tra stabilimenti per ricchi, che si possono permettere grandi investimenti, e quelli per persone normali fatti di capanni com’erano una volta».


 

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