Blockbuster, 40 anni fa nasceva la più grande catena di videonoleggio al mondo (che disse “no” a Netflix)
Nell’ottobre 1985 un giovane informatico trasformò il sogno in business. Quindici anni dopo l’errore fatale: il no allo streaming online. Oggi resiste solo il “santuario laico” di Bend (Oregon) come simbolo di memoria culturale
Quarant’anni fa, il 19 ottobre 1985, a Dallas, Stati Uniti, un giovane informatico, David Cook, trasformò il sogno in business. Quel giorno aprì un negozio e senza saperlo dette vita al primo anello di quella che sarebbe diventata la più grande catena di videonoleggio del mondo. Il negozio era decorato di giallo e blu. Nelle intenzioni doveva essere un luogo dove non solo era possibile affittare un film in cassetta Vhs ma anche comprare i popcorn e le bibite per passare una serata piacevole davanti alla televisione. Al negozio aveva dato un nome beneaugurante, Blockbuster, che in italiano significa “successo”. E un successo, in effetti, fu.
Il sistema Blockbuster
Cook anni prima aveva sviluppato un sistema informatico per gestire gli stoccaggi delle aziende energetiche e aveva fornito software alle industrie petrolifere e del gas. Ma la forte crisi che aveva colpito il settore nella prima metà degli anni Ottanta lo aveva indotto a cambiare strada. Aveva così volto lo sguardo al mondo delle videocassette e aveva aperto un negozio in franchising della catena Video Works. Quando gli era stato impedito di decorare il negozio di blu e giallo, però, si era messo in proprio. L’apertura di Dallas ha un alto valore simbolico perché, seppure in modo analogico, Blockbuster ha aperto la strada, su larga scala, a una fruizione casalinga dei film non più legata alla programmazione televisiva, ma frutto della libera scelta, antesignana dell’on demand.
Scaffali pieni e film per tutti
Negli anni Ottanta e Novanta del ventesimo secolo, ma anche nel primo decennio del ventunesimo, Blockbuster è stato un cult. Era il luogo dove scegliere il film da vedere alla sera in famiglia, con gli amici, la fidanzata o il fidanzato. Quei negozi erano luoghi ordinati e accessibili in cui il cliente poteva trovare i titoli suddivisi per categoria e tutto quello che serviva, compresi i videogiochi, per passare la serata. I negozi di Blockbuster erano organizzati per dare la massima visibilità ai prodotti. Erano enormi videoteche con lunghe scaffalature che esponevano i titoli disponibili. A differenza di altri negozi di videonoleggio, che spesso avevano delle selezioni limitate, offrivano una vasta gamma di film. Tuttavia fu soprattutto l’organizzazione la chiave vincente di Blockbuster. L’esperienza di Cook nel gestire enormi database fu fondamentale. Un sistema di gestione monitorava le preferenze dei clienti e adeguava la proposta commerciale. Ogni videocassetta, inoltre, aveva un codice a barre che migliorava l’efficienza del servizio.
Un successo mondiale
In breve, attraverso acquisizioni, cambi di proprietà e fusioni, Blockbuster diventò un brand internazionale. Nel 1994 ci fu la fusione con Viacom allo scopo di battere la Qvc Network nell’acquisizione della Paramount Communications. Tale fusione fece perdere a Blockbuster parte della sua autonomia. Tuttavia, nonostante qualche divergenza tra i vertici dei due management, Blockbuster si impose come una potenza mondiale nel settore dell’intrattenimento. Attraverso un accordo con la Standa, che apparteneva al gruppo Fininvest, quell’anno sbarcò anche in Italia.
Il "no" a Netflix
Furono anni di grande espansione, quelli, per Blockbuster. Sotto la guida di Wayne Huizenga l’azienda acquisì numerosi concorrenti ottenendo, di fatto, il monopolio del mercato. Eppure, nonostante ciò, proprio in quegli anni fu commesso l’errore strategico che, a lungo andare, ne avrebbe decretato la crisi. Nel 2000 Reed Hastings, un imprenditore che aveva appena fondato un servizio di streaming online, propose a Blockbuster di acquisire la sua idea per 50 milioni di dollari. Ma il ceo di Blockbuster, John Antioco, ritenendo lo streaming online «un settore senza futuro», rifiutò l’offerta. Quel servizio era Netflix.
Il declino e la crisi
La crisi non fu immediata. Nel 2004 l’azienda aveva quasi 9.000 negozi sparsi nel mondo e aveva concluso con successo la transizione dalle Vhs ai Dvd. In Italia i negozi erano un centinaio, molti dei quali in Toscana. Come tutte le favole belle, però, anche quella di Blockbuster ebbe termine. In quello stesso 2004 si concluse la partnership con Viacom. La rinnovata dirigenza dell’azienda tentò di inaugurare un servizio di noleggio online, ma le lotte interne portarono alla paralisi. A decretare la crisi irreversibile fu la poderosa affermazione di Internet e dei servizi online. Potendo acquistare e scaricare i film da casa nessun utente sentì più il bisogno di andare a noleggiarli in un luogo fisico. Un ruolo fondamentale, inoltre, lo giocarono la pirateria informatica, la crescita delle emittenti satellitari, il digitale terrestre e la televisione on demand.
La chiusura dei negozi
Nel 2009 la multinazionale fece registrare pesanti perdite. La crisi travolse la società che nel 2010 aprì la procedura di “bancarotta protetta” allo scopo di tenere in vita il maggior numero dei quasi settemila punti vendita ancora attivi. In realtà, schiacciato dai debiti, Blockbuster nel volgere di pochi anni fu costretto a chiudere tutti i suoi negozi. In Italia, nel 2012, Essere Benessere rilevò i circa ottanta punti vendita facendo decollare la prima catena di drugstore del Belpaese. Nel resto del mondo l’epilogo non fu diverso. Anche negli Stati Uniti chiusero tutti i negozi. Tranne uno, il Blockbuster di Bend, nell’Oregon, che ancora oggi resiste come simbolo di memoria culturale e méta turistica. Ma è solo un santuario laico. I tempi della cassetta da restituire entro due giorni per non pagare la penale sono ormai un lontano e struggente ricordo.
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