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Toscana

L'intervista

Franco Gabrielli: «La Toscana deve pensare seriamente al rischio sismico. E quando comprate una casa...»

di Giovanna Mezzana
Franco Gabrielli: «La Toscana deve pensare seriamente al rischio sismico. E quando comprate una casa...»

Il monito lanciato da Franco Gabrielli, l’ex capo della Protezione civile: «In 186 comuni della Toscana possibili forti terremoti, migliorare la sicurezza degli edifici»

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Delle emergenze occorre occuparsi «in tempo di pace», cioè, quando non ci sono. Parola di Franco Gabrielli. In Toscana, per esempio, ci si dovrebbe occupare – il consiglio è del già capo del dipartimento della Protezione civile – del fatto che nel 68,2 per cento dei Comuni, 186 su 273, si corre quotidianamente il rischio che si verifichi un terremoto «forte», secondo la classificazione sismica.

È come fosse a casa sua Franco Gabrielli quando in una giornata di fine estate passeggia nel parco di Villa Schiff, a Montignoso. Nato a Viareggio, «ma solo perché negli anni ’60, da Montignoso, potendo, si andava a partorire là», ribadisce: «Sono montignosino». Ospite del sindaco Gianni Lorenzetti, a Montignoso parla del suo libro, “La cultura della sicurezza”, scritto con Elisabetta Trinchero, volume della collana Leading Management della Sda Bocconi School of Management dove è professore di practice di pubblic managament. È un libro che invita a riscrivere la grammatica dell’azione pubblica, che si rivolge a futuri commissari, sindaci, presidenti delle Regioni. Che ci dice che non funziona trattare i cittadini come semplici destinatari di interventi emergenziali.

Che dimostra che il capitale più significativo nella gestione delle crisi non risiede nelle risorse finanziarie o infrastrutturali – come un sindaco potrebbe augurarsi – bensì nel capitale fiduciario: e la fiducia è quella che accorda o non accorda a un manager pubblico una comunità sconvolta da un terremoto, ferita da un’alluvione, atterrita da un’emergenza sanitaria come il Covid. C’è molto di Toscana nel libro di Gabrielli, a partire dal naufragio della Costa Concordia (era il 2012). Ha molto da dire ai toscani – cittadini e amministratori – il già capo della Polizia, direttore generale della Pubblica Sicurezza e del Servizio centrale antiterrorismo, del Sisde e dell’Aisi, prefetto di Roma e l’Aquila, nonché sottosegretario.

In Toscana vede emergenze all’orizzonte?

«La Toscana dovrebbe pensare seriamente ai suoi 186 Comuni che sono classificati in Zona 2 per pericolosità sismica (la Zona 2, in una scala da 1 a 4, è una zona in cui sono possibili forti terremoti, secondo la classificazione sismica del Dipartimento per la protezione civile, ndr). Penso alla Garfagnana, alla Lunigiana, al Mugello, per esempio, quindi alle province di Firenze, Massa-Carrara, Prato. C’è ancora un approccio superficiale alla pericolosità sismica: la Sardegna è quasi interamente classificata in Zona 4, si pensa che in Sardegna sia impossibile che si verifichi un terremoto, ma non è così. Parliamo di una mappa probabilistica. Significa che in un territorio classificato in Zona 1 c’è una probabilità più alta che si verifichi un sisma, cioè che è altamente probabile che accada. Centottantasei Comuni in Zona 2 significa che il fenomeno della sismicità in Toscana non è da sottovalutare».

Quali sono le contromisure da prendere?

«Innanzitutto, affronti i rischi quando sei consapevole di essi. Ed è bene farlo in assenza di emergenze e crisi».

Da dove dovrebbe partire un sindaco per “aggredire” la questione?

«Primo, sapere in quale Zona il tuo Comune è classificato. Secondo, calcolare quanto hai di esposto in termini di popolazione. Terzo, valutare quanto sei vulnerabile. E per quest’ultimo punto ricordo un manifesto che era appeso molti anni fa in Protezione civile: raffigurava una pecora dentro a una grossa fenditura di un suolo; c’era scritto: L’unica vittima del terremoto. Perché non è il terremoto che fa le vittime, bensì gli edifici. Il tema è: gli edifici consentono alle persone di non essere travolte, ecco perché quando si costruiscono pareti divisorie, faccio un esempio, devono essere ancorate. Nel terremoto dell’Aquila (6 aprile 2009, ndr) si vide che molti edifici collassarono, letteralmente».

Dopo l’esperienza nella Protezione civile come è cambiato l’approccio di Franco Gabrielli nella quotidianità?

«Erano gli Anni ’90 quando compravo la mia prima casa. Allora guardavo le rifiniture, se erano belle, come migliorarle, l’aspetto estetico. Nel 2015 mi trovai a comprare un’altra casa: cominciai dal chiedere la perizia geologica. In questi giorni ero a Cinquale per la casa di mio padre: la prima persona che ho incontrato è stato un ingegnere; mi ha detto che sono stati fatti un po’ di “pasticci”, gli ho detto che voglio metterla a posto, ma che l’unico aspetto che mi interessa è la sicurezza. E allora dico: quando andate a vedere una casa con l’intenzione di comprarla, valutate se è sicura, poi, con il tempo, la abbellirete con le maioliche».

Il suo libro parte dalla consapevolezza che crisi ed emergenze non costituiscono più l’eccezione ma sono una condizione ordinaria. La sensazione è che ad ogni perturbazione mediamente sostenuta, la Toscana frani, smotti, debba ricorrere ad evacuazioni di famiglie, basti pensare alla primavera, alla Piana Fiorentina come alla Versilia.

«Troppo spesso ci dimentichiamo dei cambi climatici. Siamo soliti dire che piove più di prima: non è vero, piove meno ma in maniera più concentrata. Le piogge di solito arrivano ormai dopo lunghi periodi di siccità e si trasformano in quelle che chiamiamo “bombe d’acqua”, definizione che fa arrabbiare gli esperti. Il problema è che queste celle temporalesche sono molto difficili da prevedere».

Quale livello di consapevolezza del rischio c’è tra i toscani, tra gli italiani?

«Non abbastanza. Basti pensare che l’88,7% delle abitazioni assicurate in Italia non ha la copertura per gli eventi naturali estremi, e che le poche polizze esistenti sono concentrate nelle regioni settentrionali che sono meno esposte ai rischi. Manca una cultura della messa in sicurezza dei beni. Eppure lo Stato oggi non è più in grado di assicurare ristori. E ciò incide sull’articolo 3 della Costituzione (che stabilisce il principio di uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini, ndr): le conseguenze dei disastri danno risposte sperequate, eppure un cittadino che perde la sua abitazione in una piccola sciagura è uguale a un cittadino che perde la casa in una grande sciagura».

“La cultura della sicurezza” è un libro che parla di fiducia tra i cittadini e “il Sistema”, di resilienza collettiva, di empatia che il manager pubblico dovrebbe sviluppare con la comunità ferita. Quando lei giunse all’Isola del Giglio, all’indomani del naufragio della Costa Concordia, la comunità isolana non la accolse a braccia aperte. Poi cosa cambiò?

«Quando giunsi a Giglio Porto, c’era un cartello con su scritto: Gabrielli, togli ’sta nave, c****o. Tempo dopo, all’esito di un complicato incontro, in cui alcune incognite sembravano condizionare le tempistiche della risoluzione della crisi, un isolano, in lessico marinaresco, mi disse: Commissario, lei è il nostro comandante, noi siamo il suo equipaggio, disegni la rotta e noi la seguiamo. Questa frase rimane il miglior riconoscimento di fiducia. La riuscita di quell’operazione conclusasi nel luglio 2014, senza costi per il contribuente italiano, rappresenta un unicum nella storia della gestione delle crisi ambientali in Italia, per complessità, tecnica, durata e impatto pubblico, anche se non dobbiamo mai dimenticare che quel naufragio costò la vita a 32 persone, tra passeggeri ed equipaggio e, durante le operazioni di recupero, a un giovane sommozzatore spagnolo».

C’è un aneddoto che racconta che anche Franco Gabrielli ha avuto, nella sua lunga carriera, un attimo di tentennamento?

«Quando cominciò l’operazione di raddrizzamento della Costa Concordia, si arrivò a seimila tonnellate di potenza ai martinetti, ma la nave non si spostava e l’ingegnere mio consulente, competentissimo e fino a quel momento sempre impassibile, cominciò a balbettare. Ecco, in quel momento, per citare Lucio Battisti, “Ho visto la mia fine sul suo viso”, anche perché poco prima, per non allungare i tempi, avevo deciso io che non fosse necessario sottoporre il progetto al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici».

Con la coscienza che parliamo di situazioni completamente diverse rispetto alla Costa Concordia, secondo lei quanto tempo ancora rimarrà la Guang Rong davanti al pontile distrutto di Marina di Massa? C’è l’ipotesi che sia rimossa a fine settembre.

«Where there’s a will, there’s a way. Volere è potere». 

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