Il Tirreno

Toscana

Il personaggio

Settant'anni fa nasceva Francesco Nuti, simbolo del cinema toscano: i film cult, i personaggi e le battute più celebri

di Alessandro Agostinelli

	Francesco Nuti
Francesco Nuti

Nato a Firenze il 17 maggio 1955, l'attore e regista è morto a Roma nel 2023. Dopo i primi anni di vita si trasferì a Narnali, frazione di Prato

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“O tu vai in Perù, o tu sposti la chiesa, o tu vinci al Totocalcio”. Per anni con gli amici abbiamo ripetuto questa solfa. Era la frase con cui ridevamo della nostra sfiga nera, quella che ci aveva incistato l’anima. Non era la miseria del Monni in Berlinguer ti voglio bene, ma una certa condizione in cui, anche se avevi qualche guizzo più degli altri, il posto dove vivevi ti riportava giù per terra. Quella del primo film di Francesco Nuti, Madonna che silenzio c’è stasera, era la frase di tutti noi ragazzi di provincia che ci divertivamo come si poteva e forse non sapevamo nemmeno cosa ci fosse fuori dalla Toscana. O meglio, noi non sapevamo proprio come potesse essere la vita diversamente da quella che vivevamo. E il Nuti ce la raccontava proprio così com’era, forse con qualche avventura in più e con quel sorriso un po’ guascone, frutto dell’ingenua arroganza giovanile che fa sorridere gli adulti.

Francesco Nuti ha perfezionato la maniera provinciale di guardare al mondo; i suoi primi film rappresentavano fino in fondo il tono e lo stile della nostra piccola, meravigliosa vita di cazzeggio. Il Nuti si è infilato sotto la pelle di almeno due generazioni di toscani. È entrato nelle nostre coscienze di ragazzi come un fratello maggiore, come uno di casa al quale si rubavano le espressioni. Quando si voleva dire che un tizio era grosso o che la mamma di un amico era severa, si diceva: “Ti dà uno schiaffo ti gnuda”. Ma quello era don Valerio del primo film. Quando si voleva dare fastidio a un amico che aveva da fare gli si diceva: “Dai, dammi un bacino, dammi un bacino”, ripetendolo allo sfinimento. E quello era Caruso Pascoski. Quando si giocava a carte e la serata era sempre più noiosa si diceva: “E ora, si tromba!”. E quello era il personaggio del dentista in Donne con le gonne.

La cosa incredibile è che per noi, qualunque film facesse, in qualsiasi modo si chiamasse il personaggio di uno o di un altro film che interpretava, era sempre il Nuti. Ed è stata questa la caratteristica: il personaggio ha sopravanzato l’uomo, lo ha fagocitato nel corso di quindici anni. Come lo vedevamo noi, con una chiarezza estrema, anche lui credo si vedesse così. Il Nuti era entrato in un personaggio in cui si faceva fatica a distinguere il film dalla vita, la finzione dalla realtà. E probabilmente è stata questa forza a rendere così speciale questo ragazzo mezzo pratese che voleva combattere le morti sul lavoro nell’impresa tessile della sua città, mettendole in scena nel suo primo film. E probabilmente è stata questa forza a consumarlo rapidamente. Francesco è bruciato come una rockstar perché, alla stregua di David Bowie, qualunque personaggio rappresentasse era in gioco sempre lui, tanto più vero di chiunque altro. Per noi c’era soltanto il Nuti, qualunque fosse la storia rappresentata sul grande schermo. E noi col Nuti ci si parlava. Era come se fosse lì, al bar con noi. Era burlone e responsabile, folle e passionale, vittima e scaltro, come quando picchia il bambino che gli spara con la pistola ad acqua, o quando strapazza il cagnolino tignoso e lo butta dalla finestra, o quando non riesce a convincere il fratello disabile (interpretato da Alessandro Haber) e allora lo mette a letto con rabbia, con una furia e un’incuria che però non riesce a celare l’amore tra i due. 

Ma i film di Francesco Nuti sono stati anche un compendio femminile, in cui la donna ha molte sfaccettature. È spesso una donna forte, molto diversa dalla rappresentazione della mamma, sempre giocata come una casalinga affranta dalla scomparsa del marito e osservante dei dettami religiosi. Il punto di vista sulla famiglia non è mai consolatorio in Nuti: l’uomo della generazione precedente, il padre, non c’è; le donne coetanee mettono il protagonista quasi sempre in difficoltà, incerto com’è a nuotare nel mare aperto della differenza/uguaglianza. Da un punto di vista maschile (qualcuno oggi, almeno per un film, potrebbe dire maschilista) c’è spesso un imbarazzo a ricoprire un ruolo che non ha più nessun contorno normativo e nessun parametro esemplare.

“Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza”. Questa frase di Ernesto Che Guevara che, fino a 20 anni fa, si pensava servisse a distinguere gli uomini dal loro contrario, cioè le persone perbene dagli opportunisti e dagli egoisti, è proprio la sentenza che si addice più di altre al Nuti che sapeva mescolare naturalmente questi due temperamenti. Come figli o fratelli avevamo anche noi il dna toscano, ma è stato il comportamento del Nuti a marchiarci. E, come per gli amici o per i familiari, oggi non sappiamo più distinguere quanto Francesco Nuti c’è in noi, ma di sicuro c’è. E sono queste occasioni, in cui si cerca di riportare alla memoria i fatti di quei tempi, che ci fanno comprendere quanto una personalità dello spettacolo si sia insinuata nel nostro modo di fare. In questo senso il Nuti ha riempito tanta parte della nostra giovinezza. E non è un dato retorico quando si dice che una generazione è stata plasmata da qualche suo eroe più o meno coetaneo. È proprio vero. Possiamo dirlo forte che il Nuti è stato il nostro eroe. Umano, troppo umano.




 

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