Il Tirreno

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Il caso

Piombino, penne nell’orecchio e costretto a mangiare formiche: maltrattato dai compagni e dalla maestra. Ora la famiglia sarà risarcita

di Gabriele Buffoni

	Il palazzo del Ministero della Pubblica istruzione
Il palazzo del Ministero della Pubblica istruzione

La sentenza dopo un processo lungo sei anni: la ricostruzione dei fatti con al centro un bambino di una scuola elementare

09 maggio 2024
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PIOMBINO. Il ministero dell'Istruzione condannato a risarcire una famiglia piombinese. Una sentenza di primo grado, quella del tribunale civile di Firenze, passata ormai in giudicato dato che non è stato presentato ricorso in appello. E che fa riferimento a una serie di maltrattamenti subiti a scuola da un bambino tra il 2008 e il 2012. Preso di mira non solo da altri alunni con atti di bullismo, ma anche dalla stessa maestra di riferimento della classe, il cui metodo di insegnamento – come si legge nella sentenza – potrebbe essersi rivelato inappropriato «nei confronti del bambino, causandogli sofferenze e stress psicologico».

Bulli impuniti

I fatti, come detto, risalgono agli anni dal 2008 al 2012. È in questo periodo che Guido (nome di fantasia per tutelare la privacy del bambino, all'epoca minorenne), alunno di una scuola elementare di Piombino, fu vittima di una serie di episodi di bullismo da parte dei compagni di classe, mai puniti o segnalati dall’insegnante che aveva l'orario prevalente (ed era informata di quanto succedeva). Atti vessatori – come infilargli con forza penne a sfera nell’orecchio, costringerlo a mangiare formiche o rivolgergli minacce e insulti – che gli provocarono anche lividi e ferite evidenti sul suo corpo.

Anzi, la stessa maestra che omise di fermare i bulli fu protagonista di un rapporto ritenuto dal giudice «disfunzionale» e «inadeguato». Due, in particolare, gli episodi ritenuti cruciali: un manrovescio e una minaccia esplicita fatta di fronte anche all’educatrice che quell’anno lavorava a un progetto nella classe dove intanto il figlio della coppia piombinese aveva iniziato a manifestare sofferenze e disagi destinate poi a sfociare nel tempo in un accertato «disturbo post traumatico da stress e un disturbo d'ansia misto, prestazionale e sociale».

Episodi incresciosi

Questi due fatti più incresciosi sarebbero stati infatti, secondo quanto denunciato dai genitori dell’alunno, l’apice di un «atteggiamento vessatorio» che fin da subito si era instaurato nei suoi confronti.

Il primo risale all’ottobre 2011. All’uscita di scuola Guido apparve come «terrorizzato e dolorante: raccontò che la maestra gli aveva dato uno schiaffo alla rovescia con l’anello procurandogli una ferita all’interno del labbro. E che, rientrati i compagni in classe, lo accusò di essersi fatto male da solo». Secondo il racconto del bambino infatti – ritenuto credibile anche dalla psicologa dell’Asl che aveva iniziato a seguirlo in seguito a quanto avvenuto in quel periodo – in quell’occasione si trovava da solo in aula con l’insegnante. Portato all’ospedale e con il referto del pronto soccorso in pugno, la coppia piombinese presentò esposto al dirigente scolastico che tuttavia accolse la difesa della docente (che sostenne che tutto era avvenuto per caso, un semplice incidente) e non prese alcun provvedimento disciplinare.

Il secondo episodio invece avvenne alla presenza dell’educatrice entrata in servizio nella classe per un progetto di affiancamento agli alunni: fu lei a testimoniare che, per sgridare Guido, la maestra gli disse con tono minaccioso «se continui ti appiccico al muro». Mandandolo conseguentemente nel panico. Un atteggiamento non nuovo, dato che – come riportato anche da un altro genitore della classe ai carabinieri – l’insegnante era solita urlare «come una matta» agli alunni.

Il risarcimento

I genitori di Guido hanno quindi deciso di fare causa in sede civile al Miur chiedendo un risarcimento per i danni subiti dal figlio in seguito agli anni di vessazione subiti. Una richiesta che il giudice Massimo Donnarumma di Firenze ha accolto al termine di un processo lungo sei anni. Dichiarando che un diverso atteggiamento da parte della maestra era «non solo doveroso ma anche esigibile» e ritenendo evidente il rapporto di causa-effetto tra i disturbi riscontrati dal bambino e le esperienze vissute in quegli anni di scuola elementare. 


 

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