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La testimonianza

Bambina morta in auto: «Perdere un figlio così è un dolore che conosco bene. E non passerà mai»

di Pietro Barghigiani
Bambina morta in auto: «Perdere un figlio così è un dolore che conosco bene. E non passerà mai»

Pisa, Daniele Carli cinque anni fa dimenticò la figlia in auto nel parcheggio dove lavorava: «Tutte le mattine il pensiero c’è e non mi illudo di poterlo dimenticare»

09 giugno 2023
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PISA. «La prima cosa è non lasciarlo solo. Serve l’affetto dei familiari e degli amici. Se quel papà vuole, sono a disposizione per stargli vicino perché i momenti difficili che vive ora sono destinati a non passare mai». Si chiama Daniele Carli, 49 anni, originario di Scarlino (Grosseto), professione ingegnere nell’indotto dell’automotive in una società internazionale con sede a Pisa. Se esistesse una grammatica del dolore lui ne sarebbe l’interprete più straziato. Quello di un genitore che provoca senza volerlo la morte di un figlio. È successo il 18 maggio di cinque anni fa. La piccola Giorgia avrebbe compiuto un anno il 31. Uscito di casa alle 8 e dopo averla sistemata nell’ovetto sui sedili posteriori dell’auto, anziché portarla all’asilo l’aveva dimenticata nella vettura lasciata nel parcheggio dell’azienda in cui lavorava. Quando alle 15,30 circa la moglie lo aveva chiamato per sapere come mai la bimba non era a scuola, nella mente dell’ingegnere si era materializzato il terrore più assoluto. Un abisso con cui fa i conti ogni santo giorno.

Ingegnere, ha rivissuto il suo dramma?

«Da un punto di vista emotivo è una tragedia enorme».

Non ci sono ricette per affrontare tragedia del genere.

«No, ma stringersi intorno alla persona è fondamentale. Tutti i giorni mi sveglio cercando di non colpevolizzarmi per quello che è successo, ma so che è difficile e che sarà complicato anche per il resto della mia vita».

Un’esistenza da sopravvissuti?

«Tutto sta nell’avere una compagna che capisce e una famiglia che ti sta vicino. Quando la piccola Giorgia è scomparsa ho avuto la fortuna di avere una bimba più grande, Lavinia. La responsabilità era necessaria anche per lei. È stato decisivo per non mollare. Poi è arrivata anche un’altra figlia, Lucrezia, che ha ridato gioia e serenità alla famiglia. L’aspetto familiare è fondamentale. Ci si deve fare forza in quel contesto perché quello è l’unico appiglio possibile».

Un dolore destinato a non passare mai.

«Mai. In questi anni non sono riuscito a superarlo. Sia chiaro: vivo con serenità, ma tutte le mattine il pensiero c’è e non mi illudo di poterlo dimenticare. Non sarebbe nemmeno giusto e, forse, in qualche modo neanche lo voglio».

Lei come è riuscito, se non a venirne fuori, almeno ad andare avanti.

«Il dolore va metabolizzato, diventa un qualcosa che ci appartiene. Non esiste la possibilità di lottare contro un pensiero del genere, va integrato nella tua vita. Non c’è una regola, ma questo non vuole dire che la serenità sia persa per sempre o che non ci saranno in futuro momenti felici. Assolutamente no. La vita va avanti».

Dal 2019 è obbligatorio il seggiolino con il dispositivo che manda un alert se il motore dell’auto si spegne e il bimbo rimane nell’ovetto. Basta per evitare simili drammi?

«Sono felice dell’obbligatorietà di questi dispositivi, ma non credo che bastino, né che siano la soluzione. Parto da una riflessione: il cento per cento dei casi avviene in contesti in cui mi sono ritrovato anche io e ora il papà di Roma. Bimbi da portare all’asilo, l’orario mattutino, parcheggi in ambienti di lavoro. A questo associo che i genitori non possono essere parte attiva del sistema di protezione del figlio. L’amnesia di una mattina ha svelato la mia inaffidabilità. Quindi serve l’aiuto da parte di un apparato esterno».

Un esempio concreto?

«In Toscana c’è un sistema attivato per proteggere i bimbi. È una App e si chiama “Nido sicuro” (se 5 minuti dopo l’usuale orario di ingresso, non viene inserita dal genitore l’informazione sulla presenza o sull’assenza del figlio, parte automaticamente un allarme, ndr) . È stata introdotta grazie all’impegno dell’amico Antonio Mazzeo, all’epoca consigliere regionale, con cui ho collaborato per mettere a punto l’applicazione. All’asilo a Cascina dove porto mia figlia è attiva. Rispetto all’ovetto, i genitori non si devono occupare delle pile o della manutenzione. Se capita quello che è successo a me non si è più affidabili e non si può delegare al genitore la protezione di un figlio se ci si trova in quelle condizioni di black-out».

Ha notizia di bimbi salvati grazie alla App?

«Non mi stupirei se fosse successo chissà quante volte. Magari sono cose private che uno tiene per sé e non vuole divulgarle».

Scusi la brutalità della domanda. Ma lei ha continuato o continua a portare le sue figlie a scuola come fece quella tragica mattina del 18 maggio 2018?

«Sì, le porto a scuola regolarmente. Ho voluto e dovuto affrontare la vita con forza». 

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