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L'intervista

Rosario Rasizza: «Formarsi e cambiare lavoro, il posto fisso non esiste più»

di Ilenia Reali
Rosario Rasizza, presidente Assosomm e amministratore delegato di Openjopmetis unica agenzia quotata in Borsa
Rosario Rasizza, presidente Assosomm e amministratore delegato di Openjopmetis unica agenzia quotata in Borsa

Analisi del presidente Assosomm sull’occupazione del futuro: «Le politiche attive? Lo Stato butta soldi in progetti di riqualificazione inutili»

08 giugno 2023
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«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». È l’articolo 4 della nostra Costituzione eppure, ora come non mai, questo diritto è sempre più complesso da garantire. Il meccanismo sembra essersi inceppato: con le aziende che non trovano le figure che cercano e dall’altra parte i lavoratori, sempre più incerti, meno garantiti. Precari. Nei contratti ma anche nelle prospettive. «Non si può pensare più di lavorare per sempre in un’azienda ma si deve lavorare sempre»: sintesi di ciò che siamo e dell’obiettivo che l’Italia dovrà darsi. È uno dei concetti in cui crede Rosario Rasizza, presidente Assosomm, una delle associazioni che rappresentano le Agenzie per il lavoro e amministratore delegato di Openjopmetis, unica agenzia quotata in Borsa con un fatturato, nel 2022, di 768,4 milioni di euro.

Ultimamente ha dichiarato che oggi parlare di precariato è anacronistico.

«Non considero precaria una persona che, per inserirsi nel mondo del lavoro, ha un contratto a tempo determinato. Anzi, mi sembra un’opportunità. Precario è invece chi ha un contratto di collaborazione, un contratto atipico o contratti in forme spurie di cooperativa. Poi ci sono attività che, per loro caratteristica, hanno un inizio e una fine. Un esempio: qualche anno fa a Milano ci fu l’Expo. Quante persone sono state impegnate? Tantissime. Ma quanto hanno lavorato? Sei mesi. Quelle persone hanno imparato a fare meglio delle attività. Precario per me quindi è tutto ciò che non è regolare mentre quello che è regolare – quindi a tempo – è un’opportunità per farsi apprezzare da un’azienda».

Un contratto a termine in Italia non dà certezze. Non le sfuggirà...

«Quello che in questo Paese non funziona è che non c’è un lavoro per sempre e non significa sempre nella stessa azienda. Dobbiamo prendere atto che non esistono più le grandi aziende, penso alla Fiat o – io abito a Varese – alla Ignis. Chi non ha avuto un elettrodomestico di quell’azienda? Gli operai entravano lì e ne uscivano dopo 35 anni. Come mio padre. Oggi non esistono aziende che durano 35 anni: alcune sì, altre si evolvono. E allora cosa deve funzionare? Le politiche attive. Se io perdo il lavoro, devo essere nella condizione di trovarne un altro. Su questo c’è molto da fare».

Ma come si migliorano le politiche attive? Nel nostro Paese i fallimenti su questo tema non mancano...

«Facendole in maniera seria. Serve un tavolo di concertazione con chi potrebbe provare a farle. I progetti, senza chi può dire cosa serve alle aziende, partoriscono sempre esperimenti che non funzionano. Una persona che perde il lavoro deve essere inserita in un percorso di formazione, di riqualificazione delle proprie competenze e quindi in un percorso guidato in una nuova azienda. E soprattutto è necessario non buttar soldi in formazione che non sia finalizzata a un posto di lavoro. Noi, come agenzie, investiamo 200 milioni di euro all’anno solo con quella finalità. Alcune Regioni più virtuose avevano fatto dei bandi in questo senso: quello della Lombardia si chiamava proprio così “formarsi per lavorare”.

Non possiamo evitare di parlare di “mismatch”, il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro.

«Ha mai sentito un genitore che dice al figlio: ti piacerebbe fare il tornitore, il cardatore, il fresatore? Io mai, anche se il figlio fin da piccolo ha avuto la passione per la meccanica. Un operatore del controllo numerico non ha il camice blu, oggi lo ha bianco perché tutte le attività sono state informatizzate e c’è poca manualità. La formazione, le scuole, gli addetti alle politiche attive del lavoro devono lavorare a un progetto comune e coordinato. Ognuno oggi parla del suo pezzettino».

Le Agenzie per il lavoro hanno avuto successo ultimi anni. Le aziende ne fanno grande ricorso. Avrete delle debolezze?

«Molto spesso veniamo visti come chi offre lavoro precario o a tempo. In realtà siamo un’opportunità concreta, immediata per chi sta cercando lavoro. Quanti sanno che l’agenzia deve rispettare il contratto nazionale applicato nell’azienda in cui invia il lavoratore? Quanti sanno che io non potrei dare un bagnino a uno stabilimento balneare se non regolarmente assunto? Quanti si fanno la domanda sul perché il settore alberghiero e del turismo ha poca penetrazione delle agenzie per il lavoro. Perché lì il lavoro non è normato. Si preferisce fare un contratto di poche ore e poi pagare in nero. È questa la debolezza, non aver fatto comprendere a tutti cosa facciamo esattamente».

Visco ha detto nei giorni scorsi che il 20% dei giovani dopo cinque anni di contratti a termine non ha ancora un lavoro. Questa per lei non è precarietà? Molti giovani inoltre scelgono di andare all’estero.

«Quelli che vanno all’estero ci vanno perché il mondo consente di lavorare in Italia, in Francia o dove si ritiene giusto andare. Non ci farei un ragionamento, io posso andare in Germania come c’è chi può venire in Italia. Vedo invece aziende che quando trovano la persona giusta non mi fanno neppure finire il contratto, mi chiedono di assumerla subito. Molto dipende da noi, con quale approccio andiamo al lavoro, con quanto impegno, quanta formazione avevo prima di entrare e quanto tempo voglio dedicare a migliorarmi. Smettiamola di pensare che ci sia una guerra tra aziende e lavoratori: ognuno ha bisogno l’uno dell’altro. Serve sapersi incontrare e parlare».

Numerose aziende stanno creando Academy per formare i lavoratori da assumere?

«Le Academy sono una reazione all’esigenza di trovare lavoratori. Se li formano e se li tengono ben stretti. Tutto questo dovrebbe essere messo a sistema. Per me sa cosa è serio? Non voglio un euro finché non ho preso Giovanni, l’ho messo in aula, l’ho formato e l’ho mandato al lavoro. Solo a quel punto devo essere premiato con i soldi dello Stato altrimenti nascono centri di formazione senza finalizzazione. Attenzione a come si indirizzano i fondi».

E dei Centri per l’impiego cosa pensa?

«Non hanno colpa: il loro personale non è formato per fare il tipo di lavoro che facciamo noi. La differenza è banalissima: noi abbiamo persone che stanno in ufficio e accolgono chi cerca lavoro ma non solo, ne abbiamo altre che girano per i distretti per cercare il lavoro. In Toscana, una regione che ci dà soddisfazione, abbiamo aperto a Montemurlo, a Certaldo, a Monsummano Terme perché il lavoro va avvicinato alle persone. Centri privati e centri pubblici insieme, con un bel progetto di politiche attive, potrebbero migliorare molto il mondo del lavoro».

Quali sono i lavori più richiesti oggi?

In Toscana è più difficile trovare addetti nella moda, tra Firenze e dintorni, nel commercio, negli alberghi e tutto il mondo produttivo, nelle concerie. In quest’ultimo caso purtroppo troviamo solo extracomunitari. Il governo non capisce che i flussi dovrebbero essere allargati. Noi abbiamo chiesto un decreto flussi bis. Solo come agenzie per il lavoro potremmo impiegare nel Paese almeno 25mila persone all’anno che arrivano da altri Paesi. L’Emilia Romagna è fortissima: ha bisogno di personale nella logistica con competenze a 360 gradi, dalle mansioni più basse fino al controllo gestione. In Sardegna c’è bisogno in tutto il comparto turistico. Avevamo fatto una campagna di reclutamento a ottobre ipotizzando una pianificazione. Hanno pensato di fare tutto da soli e in questi giorni stiamo ricevendo richieste di cuochi, aiuto cuochi, camerieri ma non ci sono. C’è chi chiede un aiuto per dieci giorni. Ma che richiesta è?».

Venticinquemila persone sono tante.

«L’uva va raccolta a maturazione, l’agroalimentare ha dei tempi. Serve flessibilità. Stiamo proponendo ai nostri clienti che ci chiedono, ad esempio, personale infermieristico di garantirci un alloggio per 12 mesi. Abbiamo aperto un canale significativo con la Tunisia. Un tempo gli infermieri arrivavano dalla Romania, ora vanno in Germania dove guadagnano molto di più. Se stai a Varese preferisci 1.800 euro in Italia o 3.500 a Mendrisio?».

Ci sono altri mestieri con flussi importanti dall’estero?

«Nel mondo della tecnologia. Con il vantaggio che lavori anche in remoto. Se scrivi “codice sorgente” lo puoi fare dal tuo Paese e venire ogni 3 mesi per un meeting».

Pensa quindi che ci sia una concezione vecchia del lavoro. Troppi paletti…

«Abbiamo in mente un lavoro in cui entravi a 14 anni e poi andavi in pensione. Purtroppo le statistiche dicono che si cambia lavoro almeno 4-5 volte. Dobbiamo però arrivare a garantire che si possa cambiare in maniera rapida, veloce e assistita. Il lavoro deve essere fluido, veloce. Diciamocelo, non c’è più il lavoro sicuro. Neppure se il contratto è a tempo indeterminato».

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