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La piaga dei femminicidi

Femminicidi, la criminologa Bruzzone: «I disturbi narcisistici in aumento sono tra le cause dell’esplosione di violenza»

di Tommaso Silvi
Roberta Bruzzone
Roberta Bruzzone

Il commento: «I bugiardi seriali sono pronti a tutto quando vengono smascherati»

02 giugno 2023
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MILANO E ROMA. «Due casi completamente diversi tra loro, con moventi e dinamiche profondamente differenti», dice la criminologa Roberta Bruzzone.

Dottoressa, come vanno inquadrati i due episodi?

«Partendo dalle differenze. Il delitto di Giulia Tramontano nasce da lontano ed è stato premeditato per diversi giorni da un soggetto con un chiaro profilo narcisistico. Pierpaola, invece, è stata uccisa perché il suo assassino non riusciva a elaborare la fine della loro relazione».

Quando parla di profilo narcisistico, cosa intende?

«Alessandro Impagnatiello considerava la compagna come un fardello. E quel figlio che la giovane portava in grembo evidentemente lui non lo voleva. La premeditazione strutturata dell’omicidio ci dice che lui vedeva lei come un ostacolo. Il bambino avrebbe compromesso le sue possibilità economiche, oltre che il legame parallelo che il 30enne aveva con un’altra donna, e che era stato appurato dalla vittima solo poco prima dell’omicidio».

Alessandro Impagnatiello ha impiegato molti giorni per organizzare l’omicidio, poi parecchie ore per disfarsi del corpo di Giulia. Possibile che in tutto questo tempo non abbia mai avuto un crollo, un briciolo di umanità?

«I disturbi narcisistici portano la persona a non calarsi mai nei panni degli altri, sono soggetti privi di empatia. Non contemplano la sofferenza, vedono gli altri solo come oggetti da utilizzare per la propria gratificazione. Quando la compagna non era più una fonte di gratificazione personale, lui ha deciso di cancellarla».

E il caso della poliziotta di Roma? Cosa scatta nella testa dell’assassino in questo tipo di episodi?

«Lui non riusciva a contemplare la fine di quel legame, evidentemente per un serio problema di dipendenza affettiva. L’ha uccisa per punire la decisione di interrompere la storia, e poi è fuggito dalla vergogna del gesto suicidandosi».

C’era modo di intuire le intenzioni dei due assassini prima che arrivassero a uccidere?

«Al di là dei casi specifici, è quasi sempre possibile scorgere la potenziale pericolosità di soggetti “a rischio”. Nel caso di Milano, quando un uomo è un bugiardo seriale, che coltiva vite parallele e mente in modo continuativo, c’è la possibilità che in un angolo della sua mente cresca e si strutturi la consapevolezza che può essere scoperto. E quando questo accade, questi soggetti sono pronti a tutto pur di non vivere lo smascheramento delle proprie menzogne. L’episodio di Roma, invece, è figlio di un uomo che sicuramente aveva mostrato segni persecutori: questa tipologia di persone tende a essere tartassante: messaggi, telefonate, richieste di incontro. Chi si comporta così può rivelarsi un pericolo».

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