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Terremoto in Turchia, il sismologo: «Un’energia equivalente ad almeno 200 bombe atomiche»

di Sara Venchiarutti
Terremoto in Turchia, il sismologo: «Un’energia equivalente ad almeno 200 bombe atomiche»

La nostra intervista a Samer Bagh dell’Ingv

07 febbraio 2023
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Sembra la cosa più solida del mondo. Eppure sono bastati pochi secondi. E ad un certo punto, nel cuore della notte, il terreno sotto i piedi si spacca. Lungo la faglia est-anatolica la superficie terrestre si sposta di 3 metri verso sud-ovest mentre sotto, a circa 18 chilometri di profondità, si sprigionano le onde sismiche. La placca araba preme su quella anatolica, la fa spostare.

Pochi millimetri all’anno. Sono i movimenti lenti dei “giganti”, le placche terrestri che tra Siria e Turchia s’incontrano. Fino al punto di rottura. E sprigionano «un’energia equivalente ad almeno 200 bombe atomiche», afferma Samer Bagh, sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, sulla base di calcoli di studi precedenti. Così nel sud della Turchia (epicentro Gaziantep) la terra trema. Magnitudo 7.8. Mille volte più forte di Amatrice. «Uno dei più forti degli ultimi tempi».


Professore, cosa è successo?

«I terremoti sono associati a faglie attive, in questo caso quella est-anatolica, una delle più importanti nel Mediterraneo. Qui avviene uno scontro tra il blocco arabico e quello anatolico. La penisola araba, per dirla in termini geografici, spinge verso nord la Turchia. Lo spostamento però è laterale, quindi avviene orizzontalmente in direzione nord-est sud-ovest lungo la faglia. Questo movimento relativo fa accumulare energia. Quando la struttura non riesce più a sopportarla, la roccia si rompe e rilascia energia sotto forma di una scossa improvvisa. Poi la zona dell’epicentro la definiamo un punto triplo: qui i due blocchi (arabo e anatolico) convergono con quello africano. Questa faglia Est Anatolica si incontra quindi con un’altra faglia importante, quella del Mar Morto».

Quindi è una zona particolare.

«Sì, basta guardare la sismicità storica per capire che la zona è molto attiva. Nel 1138 è avvenuto ad Aleppo un terremoto di magnitudo 7.1. È una zona ad alto rischio sismico, con terremoti molto frequenti e anche di notevole portata. Dal 1970 ci sono stati tre terremoti di magnitudo maggiore di 6».

Ma si poteva prevedere?

«Di solito queste placche si muovono 2-3 millimetri all’anno. Si possono studiare, ma il comportamento meccanico della struttura terrestre non è lineare. E finora non ci sono strumenti di previsione spaziale e temporale per il prossimo terremoto. Guardando la sismicità di quella zona nei giorni precedenti, nella zona epicentrale non erano avvenuti terremoti importanti sopra il 2 di magnitudo. C’è la sismicità storica o lo studio delle strutture geologiche attive, ma non si può dire che qui avverrà un grosso terremoto tra una settimana, un mese o un anno».

Tornando al sisma turco, quali sono state le conseguenze?

«La faglia corre dal Mediterraneo fino al Mar Nero per circa 250 chilometri. Il terremoto ha rotto una superficie sulla faglia che è più o meno lunga 190 chilometri e larga 25 chilometri. In questo caso, vista la magnitudo, la rottura, visibile, è arrivata anche in superficie, creando uno spostamento superficiale del suolo di 3 metri (stima da confermare coi dati del satellite). E in questi casi anche il più potente codice di costruzione antisismico diventa inutile: si spacca proprio il terreno sotto i piedi».

Cosa ci si può aspettare ora?

«La scala dell’energia è logaritmica: l’energia rilasciata da un terremoto di magnitudo 7 equivale a quella di 30 terremoti di magnitudo 6 e 900 terremoti di magnitudo 5. È come se il terremoto turco equivalesse a mille “Amatrice”. Più grande è il terremoto, più repliche (scosse di assestamento, ndr) ci sono sia come grandezza sia come arco temporale. Mi aspetto un continuo rilascio di energia sismica con magnitudo minori fino anche ad alcuni mesi di tempo».

La scarsa profondità dell’epicentro ha inciso?

«Sì, più profondo è il terremoto, più si attenuano le onde sismiche che arrivano in superficie. Poi ci sono state ulteriori complicazioni dovute alla struttura geologica superficiale. Il segnale sismico si amplifica infatti nei cosiddetti bacini sedimentari, con rocce meno compatte».

Fino a dove sono arrivate le onde?

«Le abbiamo registrate anche nelle stazioni italiane. Il terremoto è stato avvertito fino a Damasco. Ma le onde sismiche di un terremoto così importante, prima di attenuarsi, viaggiano sull’intera superficie terrestre».

Per il Mediterraneo, anche in Italia, era stata emanata per la prima mattinata un’allerta tsunami (poi rientrata). Perché?

«Il Centro Allerta Tsunami gestisce una rete di mareografi che misurano costantemente il cambiamento del livello del mare, ed è stato osservata una leggera variazione del livello del mare in tre punti (Cipro, Grecia e Turchia). Ma per avere delle onde importanti la rottura avrebbe dovuto verificarsi nel fondo marino, mentre in questo caso è avvenuto sulla terraferma».

Ma queste onde sarebbero potute arrivare qui?

«Sì, se la rottura fosse avvenuta in fondo al mare sarebbe accaduto lì lo spostamento di tre metri. Con un impatto importante sulla massa d’acqua sovrastante. Si sarebbero potute generare onde fino a 15 metri di altezza, capaci di viaggiare anche centinaia di chilometri prima di attenuarsi».

In Italia quanto è probabile che avvengano terremoti con una magnitudo così elevata?

«Le sorgenti sismiche principali in Italia sono le faglie degli Appennini. I sismi più forti d'Italia furono quello di Avezzano del 1915 (7.5 di magnitudo) e della Sicilia nel 1693 di magnitudo 7.5-7.7. Il più forte mai registrato è invece avvenuto in Cile nel 1960 di magnitudo 9. Dipende dalle dimensioni delle strutture sismogenetiche, che nel caso del Cile sono molto più larghe rispetto agli Appennini. Quindi è più difficile in Italia».

Lei è di origini siriana. Come è stato apprendere questa notizia?

«I miei famigliari vivono a Damasco, dove il sisma è stato avvertito ma non ha fatto danni. Sapere del terremoto è stato molto doloroso per due motivi. Intanto sono lontano dal mio Paese e non posso dare il mio contributo. Ma anche se fossi stato lì sarebbero mancati gli strumenti per fare qualcosa. La guerra lì ha distrutto praticamente l’intera rete di rilevazione sismica».

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