Il Tirreno

Il lutto

Cecina, è morto Roberto Marconi: atleta di ferro e imprenditore, addio all'uomo che non si fermava mai

di Claudia Guarino
Roberto Marconi
Roberto Marconi

Plurivincitore della Targa, storica manifestazione podistica, aveva 85 anni: lascia tre figlie

26 aprile 2024
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CECINA. Correva, Roberto Marconi. Nel buio di un viale della Vittoria dove ancora non esistevano luci. Correva tra gli alberi della pineta, lungo sentieri che solcava scalzo, in silenzio. Giorno dopo giorno. Del resto era nato per correre, Roberto Marconi. Aveva 13 anni quando, per la prima volta, ha indossato la maglia con i colori di Marina. «Prima i rioni più che rioni erano una famiglia – aveva detto lui stesso, tre volte vincitore della Targa Cecina – . C’erano più valori, più sentimenti e soprattutto amicizia vera». Imprenditore, podista, velista e molto altro «babbo si è aggrappato ai suoi anelli fino all’ultimo». Nonostante la forza fosse ormai poca. Nonostante issarsi fosse diventato sempre più difficile, lui «ha combattuto sino alla fine», col suo animo da sportivo. L’atleta inossidabile – è così che si intitola il libro dedicato a Roberto Marconi – è morto dopo una malattia a 85 anni, venerdì 26 aprile. Ottantacinque anni vissuti di corsa. Respirando l’aria della sua Marina. Ultimo rimasto in vita di sei fratelli, Roberto Marconi lascia tre figlie: Monica, Rossana e Serena.

La Targa

Sessantotto anni. Tanto tempo è passato da quando Marconi ha vinto la sua prima Targa. Erano gli anni Cinquanta e a quell’epoca, aveva raccontato lui stesso in una intervista rilasciata al Tirreno, «si correva sul viale della Vittoria al buio perché non era illuminato e anche per non essere spiati dagli altri rioni. La partenza e l’arrivo erano davanti al Pino solitario di Guido Papi. Poi c’era la Beppina, moglie di Guido, che dopo l’allenamento ci offriva il tè con i biscotti. E una volta alla settimana guai perdere l’allenamento, perché la Beppina ci faceva la zuppa inglese, e per quei tempi era tanta roba». La vittoria coi colori del Marina arrivò nel 1956. Poi, l’anno successivo, il bis. «Dopo (per le regole dell’epoca, ndr) non potei più partecipare alla corsa. Solo tanti anni dopo fu cambiato regolamento e così ripresi parte alla gara e grazie anche al mio contributo Marina tornò a vincere a squadre la Targa, in seguito non si è più vinto».

Paracadutismo e vela

Non solo podismo. A vent’anni Marconi partì militare e, manco a dirlo, riuscì a diventare istruttore di palestra nei paracadutisti di Pisa prima di finire nella nazionale militare di pentathlon alla scuola militare di Orvieto. Dal paracadutismo alla vela. Perché finito il militare, Marconi torna a casa, compra un cabinato di 12 metri e, con quello, riesce a vincere varie gare. Poi vende tutto e torna all’atletica. A quel punto ha 55 anni e gareggia nelle categorie dei master, dove vince l’impossibile. Porta a casa 20 titoli italiani fra indoor e pista all’aperto e, a 60 anni, partecipa al campionato mondiale in Inghilterra arrivando terzo. Prende poi parte ai mondiali in Australia, agli europei a in Spagna e ancora ai mondiali in Austria, dove ottenne due medaglie: una di bronzo negli 800 e l’altra d’argento nei 1500.

Il lavoro

Marconi l’atleta è stato anche muratore, impresario edile, pescatore e fondatore del Bucaniere, la piscina di Cecina mare con bar e ristorante e, soprattutto, con lo scivolo acquatico. A quell’epoca l’Acquapark non esisteva e il suo fu il primo scivolo della città. Lo aveva visto alla fiera nautica di Genova e gli era piaciuto. Perciò rientrato a Marina ne costruì uno uguale: il giorno dell’inaugurazione fu un successo la vasca grande era strapiena di ragazzi. «Ho un solo rammarico – aveva detto Marconi nell’intervista al Tirreno – non avere mai ricevuto il premio di Atleta dell’anno. Credevo di meritarlo. Mi hanno premiato però con l’Omino di Ferro. Le gare? Conta partecipare, è l’aspetto più bello». E di gare, lui, ne ha corse un’infinità. Intervallandole con lanci col paracadute, regate e match di pugilato. L’atleta inossidabile ha partecipato persino alla maratona di New York. «È stato un grande uomo – dicono le figlie –. E, per noi, è stato un grande babbo». Un uomo il cui nome è inciso nella storia di Marina. E nelle sue vie, che tante volte ha percorso di corsa, senza scarpe.

 

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