Il Tirreno

Toscana

L’editoriale

Fascismo e memoria nell’ex fortino che sterza a destra

di Luciano Tancredi

	Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

La Toscana con questo voto ha mostrato di aver archiviato la memoria, di aver condonato ottant’anni dopo i misfatti compiuti dal fascismo in questa terra

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Scrivo da un fortino rosso che non esiste più. Parafrasando il celebre incipit del reportage di Giampaolo Pansa dalla tragedia del Vajont, potremmo continuare: spazzato da un’onda nera che ha travolto la roccaforte del Pd, certificando il sorpasso, almeno al Senato, da parte dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

La Toscana con questo voto ha mostrato di aver archiviato la memoria, di aver condonato ottant’anni dopo i misfatti compiuti dal fascismo in questa terra, annegandone i simboli, mai abiurati completamente dagli eredi, in un mare di indifferenza, qualunquismo, disertando in larghissima parte le urne e al tempo stesso una sfida storica per la vita repubblicana. Il voto di domenica a Stazzema, nella cui frazione di Sant’Anna si è consumata una delle più sanguinarie stragi nazifasciste nel ‘44, con oltre cinquecento vittime, lo dimostra: lì, Fratelli d’Italia ha quasi doppiato il Pd.

Il nostro titolo in prima pagina di ieri certifica plasticamente l’accaduto: l’Italia a destra dopo ottant’anni, ovvero dalla caduta del fascismo.

L’appello al voto, più che al voto utile, non ha fatto breccia. L’astensionismo dilaga. Il fortino rosso è diventato una riserva indiana, sull’asse Firenze-Bologna, dalla quale la sinistra potrebbe ripartire con nuove leadership che siano capaci di parlare al Paese che le ha voltato la faccia, alla pancia ma soprattutto alla testa degli italiani. Vedremo.

La turbolenza elettorale che contraddistingue la Seconda Repubblica, con il leaderismo che la ispira, ha colpito ancora una volta. Dopo Renzi, Grillo e Salvini ora tocca a Giorgia Meloni. Gli italiani hanno deciso di darle fiducia, scommettendo sulla tenuta dei diritti, sull’atlantismo, sulla fedeltà all’Europa Unita di cui siamo fondatori. 

Una scommessa al buio, visti i prodromi: il voto di FdI e Lega contro il rapporto Ue che colloca l’Ungheria al di fuori delle democrazie europee, i rapporti di Meloni con l’ultradestra europea a partire da Vox e Le Pen, le dichiarazioni trancianti come “la pacchia è finita” rivolte all’Unione Europea in campagna elettorale, le simpatie putiniane degli alleati Berlusconi e Salvini, perfino la crociata oscurantista dei suoi verso un innocuo cartone animato come Peppa Pig con le sue due mamme. Vedremo. 

Il voto è l’espressione più alta di democrazia e attraverso esso gli italiani hanno scelto a chi affidare il governo nel momento più difficile, complice l’ignavia, la cecità delle forze di centrosinistra e dei suoi leader che non hanno saputo fare fronte comune contro l’avanzata della destra.

Meloni, se sarà premier, è al banco di prova. Non solo sul piano dei diritti e delle alleanze. Il governo di cui fu ministra, il quarto a guida Berlusconi, il più longevo della storia della Repubblica, non fu efficace sulla tenuta dei conti. Sappiamo tutti come andò a finire, con l’arrivo di Mario Monti. Ma adesso, se sarà incaricata dal presidente Mattarella, Giorgia dovrà affrontare la sfida dallo scranno più alto. E il momento è altrettanto drammatico. Sarà all’altezza? 

La crisi economica sta aggredendo la carne viva degli italiani. Tra pochi giorni, il 1 ottobre, le bollette del gas potrebbero raddoppiare, avvisa Arera, l’Autorità di regolazione per energia. Le imprese lanciano l’allarme. L’inflazione mangia i già miseri stipendi delle famiglie, i consumi crollano. Lagarde annuncia che alzerà i tassi perché le prospettive si fanno ancora più fosche. Le borse paventano la recessione. 

Restando nel gioco delle citazioni, torna in mente il celebre titolo del quotidiano Il Mattino all’indomani del terremoto dell’Irpinia: fate presto. Invocava soccorsi immediati alle popolazioni colpite dalla catastrofe e diventò un emblema dell’urgenza del popolo di fronte alla farraginosa macchina dello Stato e della politica, celebrato perfino in un’opera del genio della Pop Art, Andy Warhol. 

Viene voglia di rifarlo anche oggi, quel titolo, rivolto allo Stato e alla Politica. Fate presto. L’Italia allo stremo non può attendere oltre i soccorsi.  

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