Il Tirreno

Toscana

L’inchiesta

In Italia sono sfruttati e senza tutele oltre tre milioni di lavoratori

Luca Daddi
In Italia sono sfruttati e senza tutele oltre tre milioni di lavoratori

La Cgia: l’incidenza maggiore è al Sud con il 17,5 per cento

30 luglio 2022
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La piaga del lavoro nero in Italia non conosce crisi. La conferma arriva dalla Cgia, associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, il cui ufficio studi elaborando dati Istat del 2020 (ultimi disponibili), ha calcolato che ci sono 3,2 milioni di occupati irregolari, pari al 12,6%.

Lavoro forzato

La situazione è particolarmente pesante in alcuni settori – come l’agroalimentare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura – dove, segnala la Cgia, «lo sfruttamento, praticato in particolar modo dalle organizzazioni criminali che, con la crisi, hanno diffuso i loro interessi nell’economia reale del Paese, è sempre più spesso “affiancato” da violenze, minacce e sequestro dei documenti. L’applicazione di queste coercizioni ha trasformato ampie sacche di economia sommersa in lavoro forzato». In larga parte, «le vittime sono cittadini stranieri presenti in maniera irregolare in Italia, ma sono sempre più numerosi anche gli italiani. Le difficoltà economiche di questi ultimi due anni e mezzo, infatti, hanno aumentato il numero dei nostri connazionali in condizioni di vulnerabilità o di bisogno che, successivamente, sono scivolati verso questo inferno».

Irregolari “indipendenti”

Da sottolineare che una parte di quanti lavorano al nero sono persone che ogni giorno fanno piccoli lavori di riparazione, manutenzione o prestano servizi alla persona. «Un esercito di “invisibili” che, ovviamente, non sono alle “dipendenze” né di caporali né di imprenditori aguzzini – nota la Cgia – ma, attrezzati di tutto punto, si spostano in maniera autonoma e indipendente, provocando danni economici spaventosi a chi esercita la professione regolarmente. Questi lavoratori irregolari sono in parte costituiti da pensionati, dopo-lavoristi, inattivi, disoccupati o persone in Cig».

Differenze geografiche

In termini assoluti, rileva l’ufficio studi degli artigiani di Mestre, è il Nord l’area del Paese con il maggior numero di occupati irregolari, pari a 1.281.900, seguita dal Mezzogiorno con 1.202.400, mentre al Centro se ne contano 787.700. «Tuttavia – sottolinea la ricerca – la classifica cambia se si considera il tasso di irregolarità, cioè l’incidenza del lavoro irregolare sul totale dell’occupazione (sia quella regolare che quella non regolare). In questo caso l’area del Paese con una significativa maggiore incidenza del lavoro irregolare è il Mezzogiorno in cui si stimano 17,5 occupati irregolari ogni 100, mentre al Centro ve ne sono 13,1 e al Nord circa 10».

Salario minimo e “nero”

È un caso, si chiede la Cgia, che i settori più interessati dall’economia sommersa siano in buona parte anche quelli in cui le retribuzioni previste dai contratti nazionali di lavoro per i livelli di inquadramento inferiori sono ben al di sotto dei 9 euro lordi all’ora? «Evidentemente no. In agricoltura e nei servizi alla persona, ad esempio, la presenza del lavoro nero contribuisce a mantenere basse le retribuzioni previste dai contratti sottoscritti dalle parti sociali di questi settori, altrimenti molte aziende, che con il sommerso non vogliono avere nulla a che fare, innalzando troppo i minimi salariali sarebbero spinte fuori mercato. Infatti, la concorrenza sleale praticata dalle realtà che fanno un massiccio ricorso a lavoratori irregolari è fortissima. È chiaro che una cosa non esclude l’altra, ma riteniamo che l’aumento delle retribuzioni possa essere ottenuto non soltanto per legge, ma anche attraverso uno sradicamento dell’economia sommersa, premiando, pure fiscalmente, quegli imprenditori che vogliono operare nell’economia regolare». 

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