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Francesca Pachetti, la Raccontadina: quando la voce della terra diventa racconto

di Irene Arquint
Francesca Pachetti in mezzo ai suoi pomodori
Francesca Pachetti in mezzo ai suoi pomodori

Scrittrice e agricoltrice di Montignoso si ispira alla permacultura: «Scrivere e coltivare sono due verbi che per me possono sovrapporsi»

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Nel coltivare s’ispira alla permacultura, che pensa persone e piante convivere collaborando lo stesso pianeta. Abita a Montignoso, in provincia di Massa, dividendosi fra appezzamenti di neppure due ettari che si spingono fino a Sarzana. Il suo è un mestiere scelto di cuore diciassette anni fa, per restare vicina al figlio che sarebbe nato di lì a poco. Sarà per questo che nel suo campo non mancano mai patate, melanzane, pomodori a forma del muscolo che ci tiene in vita. Prima di allora educava i bambini degli altri e portava sollievo nei centri di disabilità psichiatrica. Sarà per questo che non ha mai rinunciato a diffondere buone pratiche: attraverso i corsi di avvicinamento alla terra per chi vuole farsi contadino, vendendo in campo aperto le cassette di ortaggi misti, scrivendo libri che ha pubblicato con Anima Mundi e Tempo Sospeso, intrattenendosi sui social con chi ha piacere di dialogare con lei. Francesca Pachetti, quarantaquattro anni, usa indistintamente la zappa e la penna, ecco perché i più la conoscono come la Raccontadina.

Cosa le ha dato la terra e cosa le ha tolto?

«La terra mi ha dato delle radici per nutrirmi, allungarmi e svilupparmi seguendo i tempi della natura, fatta di cicli perenni, cieli buoni e altrettanti tempestosi, la sicurezza dell'alba ogni mattina come la certezza della partenza delle rondini che è propria di questi giorni. Da subito, al primo raccolto di piselli distrutto da una lunga grandinata, mi ha dato la dolcezza nell'accettare quello che non posso cambiare. Ricordo che me ne stavo lì in piedi, in mezzo al campo a capire cosa avrei potuto fare: niente, non avrei potuto fare niente. Ho sorriso: le cose succedono. Invece mi ha tolto la presunzione di pensare di poter e dover fare sempre qualcosa quando tutto crolla. Perché mentre tutto crolla si può solo restare a guardare, per vedere ma solo poi, cosa è rimasto. Quindi tolsi i piselli e ci piantai le insalate».

Che legame c’è fra la contadina e la scrittrice?

«Scrivere e coltivare sono due verbi che per me possono sovrapporsi. La parola scritta (e anche quella parlata) ha le stesse necessità di un seme di carota, di cosmos, di margherita: ha bisogno di un tempo che non è perfettamente calcolabile. Si può sapere solo che in primavera sbocceranno tulipani e in inverno bucaneve. Devono stare in terra nutrita e umida e avere la fiducia e la sicurezza di due occhi e due mani a loro disposizione. Se il seme si apre allora da lì in poi farò in modo di accompagnarlo a farsi frutto o fiore, così i semi di parola. Quando sento lo scricchiolio dell'apertura mi siedo e sto loro accanto, ascolto e guardo in che cosa si vogliono trasformare. Quando sono certa della loro piena maturazione scrivo le parole, altrimenti aspetto ancora».

Si campa con la terra? E con la cultura?

«Con la terra si può campare in due modi: il primo è avere molta esperienza e abbastanza "grano" in fienile o spalle ben coperte, e il secondo è avere molta esperienza, una piccola entrata parallela ed essere a un buon punto di "innaturamento". Per cui quando i raccolti vanno male: patate, sale e olio vanno benissimo sia per pranzo che per cena. Per la cultura vale lo stesso. Ed è buffo che siano due beni essenziali senza i quali saremmo ancora uomini e donne primitivi ma nessuno pare dare loro la giusta attenzione e sostegno».

La terra è cultura?

«Cultura deriva dal latino "colere" che significa coltivare, prendersi cura. Ciò che fa ogni giorno un contadino. In ogni pezzo di terra è impressa la memoria di chi ci ha camminato, costruito, seminato e anche di chi l'ha calpestata, sparata, di chi sopra ci ha fatto la guerra e di chi ha trovato il coraggio per la pace».

Ci sono ortaggi che raccontano qualcosa in più di altri?

«Tutti hanno da raccontare, dal principio, ognuno nel proprio modo e forma. E che meraviglia, che viaggio infinito sapere la loro origine, da dove hanno iniziato e in che modo si sono adattati per poter continuare».

Ha un messaggio da lasciare a chi muove i primi passi verso l’agricoltura?

«Il livello di difficoltà sarà così alto da non saperlo raccontare, la fatica è muta ma ne varrà la pena. Non guadagnerete soldi ma risposte».

È felice?

«Quando la mia zattera non imbarca acqua a causa di onde troppo grosse posso dire che è un buon giorno. Dipende dai momenti, dalle settimane, dai mesi. Oggi è mare calmo, il cielo è sereno, ho forza per continuare a remare quindi sì, è un buon giorno».

Quanti cuori contiene un campo?

«Uno, nessuno o infiniti. Il cardiospermum halicacabum è una pianta che fa un piccolo frutto a forma di lanterna. A maturazione, all'interno, porta tre semi neri con un cuoricino bianco. Ciascuna pianta fa molti frutti, ogni frutto ha tre semi. Riusciresti a fare il conto di quanti cuori può contenere un campo se io li risemino tutti ogni anno? Ogni campo contiene i cuori che ci semini».

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