Il Tirreno

A tavola con noi

Tuffo nel tempo con le “verticali” di Luce e Pomino

di Antonio Paolini
Lamberto Frescobaldi e Nicolò D’Afflitto, enologo del gruppo
Lamberto Frescobaldi e Nicolò D’Afflitto, enologo del gruppo

In casa Frescobaldi doppia verifica a conferma di una storia multisecolare

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Il tempo, si sa, è fattore di verifica per ogni cosa destinata a valere. E per il vino l’equazione è addirittura assurta (“migliora nel tempo come un buon vino”) a luogo comune. Non stupisce dunque che un blasone come Frescobaldi, storia multisecolare (vino venduto già dal Trecento a re e Papi e scambi merce perfino con Michelangelo), dimensioni misurate sulla durata (oltre 1200 ettari vitati in varie regioni) e collocamento delle etichette di punta ai piani alti internazionali, abbia deciso di ribadire i livelli attinti con un doppio tuffo nella profondità dei decenni.

Ecco allora la duplice esibizione di verifica. Occasione per quella in rosso i trent’anni di storia di Luce, blend pari quota di Sangiovese e Merlot nato a Montalcino da una joint venture transoceanica con la poderosa enofamiglia californiana Mondavi, poi uscita dal vino “préstige”, e dunque tornata in toto al partner toscano. E scommessa per quella in bianco sul figlio di una tenuta d’altura, Pomino (700 di quota) che ospita dal Seicento uve non indigene (Chardonnay e Pinot Noir portate in dote da Leonia degli Albizi, proprietaria del castello che domina il luogo e andata in sposa a un Frescobaldi), Doc dall’83 e che l’enologo dei Frescobaldi, Nicolò D’Afflitto, definisce icasticamente “repubblica a sé”. È un erede di quegli Chardonnay il Riserva Il Benefizio, primo bianco italiano fatto “alla francese”, fermentato ed elevato in barrique, dal 1973. A mostrarne la stamina e sfatare gli ultimi, ostinati luoghi comuni sui bianchi che “non invecchiano”, l’assaggio di un 2022, ultimo nato e più che in sé e promettente, ma soprattutto di un 2014 scintillante per freschezza, tensione e armonia, e poi di un 2009 meno “affiilato”, ma suadente di frutta gialla matura e ricordi di spezie, e la scommessa ardita di un 1990 centrato nella sostanza vitale ma un po’ velato negli aromi.

Quanto al Luce, il defilé romano con vista ambientato nella sala-terrazza dell’Hotel Eden, ha viaggiato (partendo dal fondo) da un 1995 opulento ma tutt’altro che stucchevole e venato da intriganti note esotiche a uno straordinario 2001, generoso di frutto (integro) al naso e armonioso al gusto, “tirato” il giusto dal Sangiovese e arricchito il giusto dal Merlot. A seguire un 2012 più largo, un filo meno risolto, ma anche lui, come l’ampio e decisamente più “caldo” 2015, fedele racconto di anni e stili. Il cui cambio verso una ricerca di verticalità e grazia ancora maggiori affiora già netto nel 2019, con note più assortite e sentori officinali, e si esalta con l’ultimo nato, il 2022, prova elegante e piena del lavoro concettuale a monte e dei frutti che ricerca in vigna e nuova cantina dedicata paiono garantire anche per il futuro.


 

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