Il Tirreno

L’intervista

Zucchero: «Cantare in Russia? No grazie. Ma non andrei neanche da Trump e Netanyahu»

di Chiara Cabassa

	Zucchero sul palco
Zucchero sul palco

L'artista si racconta a 360 gradi alla prima del suo nuovo tour mondiale: «Non sono tempi bui, è notte fonda»

02 aprile 2024
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«Sono sempre andato volentieri in Russia a suonare, fin dal Cremlino nel 1990. Quello russo è un pubblico molto attento, che ama l’arte e la cultura. Poi non ci siamo più andati e anche se fossi invitato, oggi, non ci andrei. Ma lì si apre un discorso enorme, perché non andrei neanche da Netanyahu o da Trump. E allora sto a casa, ormai il cerchio si stringe». Lo ha detto Zucchero, in un incontro stampa a Londra per la partenza dell’Overdose D’Amore World Wild Tour: prima tappa al Royal Albert Hall nella capitale inglese sabato e domenica 30 e 31 marzo .

Uno Zucchero come sempre senza peli sulla lingua. Alla faccia di quel politically correct da cui ha sempre preso le distanze. A prescindere dall’argomento. Che si parli di musica piuttosto che di politica, quello che pensa, e dice, arriva agli interlocutori senza sconti.

Nella scaletta è stato mantenuto l’incipit di “Spirito nel buio”. È una citazione dei tempi bui che stiamo vivendo?

«Non sono solo bui. È proprio notte fonda, nero assoluto. Ma parlo di cose che sapete già. Io in questi momenti tendo a essere il più solare e il più positivo possibile, cerco di dare luce. Sto scrivendo testi tosti ma alla fine s’intravede sempre una luce. Perché come fai? Se ti lasci condizionare è finita. Siamo già troppo depressi e non me la sento di scrivere cose troppo negative. E poi dobbiamo divertirci e non possiamo sempre prenderci troppo sul serio, ma se entriamo in questo campo ci vuole una settimana di tempo. Culturalmente siamo proprio sotto zero. Parlo di musica naturalmente», glissa Zucchero.

Rimanendo sull’attualità, il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi ha proposto di lavorare a un protocollo d’intesa contro i testi violenti della scena musicale rap e trap. Cosa ne pensa?

«Forse lo possono fare perché non c’è più nessuno che si ribella. Non credo che uno come Guccini, De André o De Gregori sottoscriverebbe una roba del genere, e non lo sottoscriverei nemmeno io. Ma c’è qualcuno che a parole fra i politici è meno violento di uno che scrive testi? Solamente il fatto di vederli in televisione e già una violenza terribile».

Parlando di giovani artisti, c’è qualcuno che le piace in particolare?

«Purtroppo oggi il rock è annacquato, politically correct, nessuno che vada giù pesante e prenda posizione. Le loro battaglie? È come se tirassero al poligono. Però c’è qualcuno che scrive testi nei quali mi identifico. Per esempio Salmo mi piace tantissimo, si espone, dice cose che condivido e ha una bella band. Ma anche Marracash e Blanco hanno testi interessanti».

Zucchero è uno dei pochi artisti capaci di trasmettere emozioni dal palco, anche perché quello che accade durante i concerti è ora, come agli inizi, artigianale al cento per cento. Giusto?

«È assolutamente così. Certo se ti appoggi su delle basi spendi meno, è più semplice e più comodo, ma io voglio vivere i live. Diversamente non mi divertirei io e non si divertirebbe il pubblico. Nella band, alcuni sono con me dall’inizio, altri da venti trent’anni e conoscono tutto il mio repertorio. Potrei cambiare completamente scaletta ogni sera e non ci sarebbero problemi, sono tutti grandi professionisti».

Per quanto tempo si vede in giro a fare concerti? Vasco, per esempio, ha detto che vorrebbe morire sul palco.

«Premesso che l’ho detto prima io, ci sono anche andato vicino. Già da prima del Covid ho detto “Io voglio continuare a fare musica dal vivo”. Ok i dischi, c’è il lavoro francescano che va fatto, ma poi c’è il live, cotto e mangiato. Preferisco, vista l’età, ammazzare il mio tempo con i live, c’è l’adrenalina, giri il mondo, ti senti vivo. Poi bisogna anche vedere come reggo. In media faccio 150 concerti per ogni tour, a volte faccio anche 5-6 date di fila, compresi gli spostamenti. E poi ci sono ogni volta oltre due ore di concerto, ma io non me ne accorgo».

Qualche suo collega ha annunciato il tour d’addio. Lei lo farebbe?

«Se smetto, smetto e il giorno dopo non mi vedi più. Dire tra uno o due anni chiudo è un impegno che non mi sento di prendere, se poi voglio smettere prima, o magari dopo, che figura faccio?»

Altri suoi colleghi sono andati al Festival di Sanremo in occasione dei loro settant’anni. Il prossimo anno tocca a lei: sarà all’Ariston? O Sanremo non la vuole?

«Che Sanremo non mi voglia non l’ho mai detto, poi è vero che non so se ci andrei. Per la prima volta quest’anno Sanremo l’ho visto a pezzettini, ma davvero ha straccato i maroni. E poi cosa ci andrei a fare? In gara arriverei ultimo. È l’unico Paese al mondo dove c’è ancora la gara come i cavalli da soma, c’è ancora chi vince e chi perde su delle canzoni, lo trovo allucinante, ma piace al popolo, fa audience. Vuol dire che siamo rimasti al tempo dei romani e del Colosseo».

Tornando ai suoi concerti, ci sono bellissime canzoni che non propone più, come “Donne”. Perché?

«“Donne” non la canto più perché mi vergogno a dire dududu. Ecco. Lo faccio dire al pubblico? E se poi non risponde, facciamo che ne proporrò una versione diversa».

Altri artisti saranno con lei in questo tour, oltre a Savoretti ora a Londra?

«Amo le sorprese e non mi piace annunciare i nomi degli ospiti troppo tempo prima. Certo, mi piacerebbe Mark Knopler, se fosse libero, così come Cat Stevens. Ma sono spesso per l’appunto sorprese che accadono all’ultimo».

Novità discografiche in arrivo?

«Ebbene sì, sto lavorando a un disco nuovo ma per ora non posso dire di più».

Quindi il contratto con Universal alla fine è stato rinnovato.
«Eh, non potevano lasciarmi andare», chiosa con un sorriso Sugar.




 

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