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Siena misterica: i mondi nascosti della città del Palio

di Stefano Adami

	Piazza del Campo a Siena
Piazza del Campo a Siena

Non solo piazza del Campo e Torre del Mangia, tanti i luoghi segreti e misteriosi

26 maggio 2023
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Siena misterica. È così, come a un antico, intricato e sconosciuto rituale, che ci si avvicina alla città del Palio. Perché al di là delle sue meravigliose forme visibili, Siena contiene molti mondi nascosti. Che, quando vengono osservati e attraversati, donano qualcosa di profondo, ed indescrivibile, all’inquieto viaggiatore.

Lo stupore senese fa pernio sul luminoso Duomo, sull’infinita piazza del Campo, sui suoi spicchi, che raccontano un’intera enciclopedia della Toscana antica, sulla grande Torre del Mangia, che coraggiosa dà la scalata al cielo. Ma i sussurri più intimi si vedono in certi spazi museali, come la Pinacoteca nazionale della città. O come, soprattutto, il Museo dell’Opera del Duomo. La storia, infatti, ci racconta come, una volta edificato il duomo della città, i senesi abbiano sognato un progetto molto più che ambizioso. Era una sorta di riedizione toscana dell’antica storia biblica di Babele. I senesi, infatti, avevano pensato di ampliare il Duomo su scala immensa, arrivando a donare all’umanità la cattedrale quasi sicuramente più grande d’Europa. In quel progetto, il Duomo che ancora oggi si può ammirare e attraversare sarebbe finito per essere solo una semplice cappella del nuovo edificio sacro. Che avrebbe avuto una facciata gigantesca, orientata in direzione completamente diversa. È quella che oggi, a Siena, si può ancora visitare sotto il nome di "Il Facciatone".

Ma che cosa successe? Forse l’improntitudine del nuovo progetto irritò la sensibilità di un Dio collerico geloso. O forse, semplicemente, la peste che stava già da tempo flagellando l’Europa, la stessa peste raccontata da Boccaccio, giunse anche al Campo. Fatto sta che ben metà della popolazione senese ne morì. La città fu messa in ginocchio. Non ci furono più le risorse per portare avanti il grande progetto. Ne rimase "Il Facciatone", appunto, come una vela alzata in mezzo ai flutti della preziosa città, a raccontare la storia di quello che poteva essere, e mai fu. E resta ancora oggi il Museo che racconta l’edificazione del Duomo.

Il Museo ricco di meravigliose opere dorate di Duccio da Boninsegna e del meglio dell’arte Toscana e italica del medioevo. Ogni volta che riesco ancora a metterci piede, nonostante tutto quel che m’è successo, a specchiarmi nelle sue bellissime pitture, nelle meravigliose pale d’altare, la mia mente balza d’improvviso all’indietro. Si trova a quei primi anni, in cui ero approdato al Campo, facendo vela dalle città inglesi in cui avevo vissuto, da Bath, da Londra. In quei nuovi iniziali tempi senesi, spesso portavo i miei studenti, in gran parte americani, proprio a visitare il preziosissimo Museo della Opera del Duomo.

Lo visitavamo insieme al gruppo del fraterno amico Maurizio S. Era stato un bell’incontro, il nostro. Sembrava di essersi conosciuti da sempre. All’ombra della Toscana di mare. Dopo pochi anni aprirono anche l’ex ospedale, come museo. Il famoso Santa Maria della Scala. Anch’io vi ero stato ricoverato, da piccino. E lo stesso Italo Calvino vi era stato operato, dopo il suo ictus di fine estate 1985. E vi era morto. Adesso era diventato un museo di arte e archeologia a dir poco strepitoso. Quei pochi passi intorno al Duomo, insomma, raccolgono veramente dei grandi universi artistici. Perché poco lontano c’è la Pinacoteca nazionale, con i suoi scrigni antichi di luce. Nel silenzio di quelle ore, chiedevo ai miei studenti di scegliersi ognuno un’opera d ’arte e di raccontarla. Ma quelle visite erano dei veri e propri viaggi al di fuori del tempo. Uscivamo e non credevamo ai nostri occhi.

Dovevamo stropicciarci a lungo le palpebre, per capire che eravamo tornato a terra. C’era di nuovo il mondo del quotidiano dolore, lì sotto. Della quotidiana fatica. Passandomi le mani sul volto, mi sembrava di essere il Senesino. Il grande sopranista barocco ritornato da vecchio nella sua città, dopo aver cantato in tutta Europa. Nella sua casa della Lizza. Andavamo a mangiare qualcosa, a volte, insieme. Spesso, mi fermavo alla libreria Einaudi, li vicino, gestita da un altro fraterno amico. In via Pantaneto, proprio quasi davanti alla nostra vecchia sede. È passato pochissimo, ma sembrano adesso secoli. Allora non c’era ancora la follia collettiva della solitudine di massa di cellulari e media sociali. Della chiacchiera. Si sapeva ancora osservare. E scrivere. O almeno così credevo. Allora.

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