Il Tirreno

IL PREMIO OSCAR MATTATORE

L’amore per Viareggio, il dolore per i profughi. Benigni: «Loro sono tutte le facce del Cristo»

Luca Cinotti e Maria Cristina Ercini
Roberto Benigni in due momenti della serata finale del Pemio Rèpaci a Viareggio
Roberto Benigni in due momenti della serata finale del Pemio Rèpaci a Viareggio

Al premio Rèpaci parla dell’Afghanistan ma anche di quando andava in Versilia da bimbo: «Come allora, qui ritrovo il sogno»

30 agosto 2021
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VIAREGGIO. L’Afghanistan, prima di tutto. Roberto Benigni è arrivato sul palco del Premio Viareggio-Rèpaci, dal quale ha ricevuto il riconoscimento alla carriera, sulle note de “La vita è bella”, e non si è tirato indietro nel giudicare quello che sta avvenendo nel paese asiatico dopo il ritiro dell’Occidente: «Le immagini che vediamo dall'Afghanistan, della gente accalcata nel fango e poi delle mamme che gettano i bambini oltre il filo spinato, sono come veder gettare il proprio cuore, il nostro cuore è un profugo in questo mondo. Anche io ho il desiderio di gettare il mio cuore oltre il filo spinato, perché quelle immagini che vediamo riguardano me. Io sono loro, io sono quel bambino, loro sono tutte le facce del Cristo».

Rispondendo a Paolo Mieli, presidente del Premio, Benigni ha spiegato anche perché non sarebbe possibile, oggi, fare un film sull'Afghanistan con lo “spirito” della Vita è bella: «Quello che succede a Kabul è qualcosa di insuperabile, che non si può ora far toccare dall'ironia, perché quanto succede è troppo presente e ha bisogno del tempo».

Benigni ha la capacità di legare insieme il tragico e il leggero, come ha dimostrato mille volte. E l’ha fatto sabato sera, partendo dall’elogio del luogo dove si trovava: «Viareggio – ha detto – è proprio il sogno, il luna park, la gioia, il mare, la spiaggia, il caffè Margherita, il “48”, il Bagno Balena ed il Liberty. Una bellezza rimasta immutata con le sue donne ed i suoi uomini, la loro felicità e la loro libertà. Ho trovato la stessa Viareggio con lo stesso amore e con la stessa bellezza di quando venivo da ragazzo; per questo sono davvero felice di ricevere questo premio perché è la città intera che me lo consegna». E ancora una volta si passa al registro “serio, tragico: «“Ci vediamo a Viareggio”: ho citato questa meravigliosa terra nella Vita è bella non a caso: era proprio nella sceneggiatura, perché volevo che in un campo di concentramento, nel luogo più orribile del mondo, ci fosse il nome della città che io ritenevo la più gioiosa, la più soave».

Benigni aveva davanti a sé un pubblico ridotto per la pandemia, anche se in un posto bellissimo: per la prima volta nella sua storia, la finale si è tenuta in uno dei luoghi più suggestivi della città, l'approdo turistico della Madonnina, per l'occasione vestito a festa. Un lungo tappeto blu, come il mare, che divideva le due file di seggiole per i 200 ospiti che hanno avuto la fortuna di assistere all'evento, un grande palco proprio sotto la Madonnina, con un maxischermo che ha consentito, anche a chi era seduto più lontano, di poter vedere tutta la cerimonia. Ma tantissime erano le persone dalla parte opposta del molo, che hanno accolto con una vera e propria ovazione Benigni. E hanno ascoltato le sue parole di impegno, che hanno riecheggiato quelle della vincitrice della sezione narrativa, Edith Bruck che nel “Pane perduto” racconta la sua esperienza di adolescente nel campo di concentramento di Auschwitz. Vicende che alla luce di ciò che sta accadendo è più che mai attuale: «Non dobbiamo mai dimenticare cosa è successo in quei campi di concentramento. E quello che sta accadendo in Afghanistan ci fa vedere che viviamo in un mondo di profughi. Ma dobbiamo pensare che anche nel buio più assoluto c'è un punto di luce. C'è sempre una speranza nel futuro». «Ha ragione e il mio cuore è profugo a vedere le immagini di madri che gettano i bambini oltre il filo spinato – ha commentato Benigni –. Quelle sono tutte le facce di Cristo, non possiamo che aiutare quelle persone. Non c'è altro da fare».

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