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Paolo Giovannelli, dal calcio alla spiaggia: i 65 anni di un talento incompiuto

di Luca Tronchetti

	Ancelotti con Paolo Giovannelli (a destra)
Ancelotti con Paolo Giovannelli (a destra)

Emulo di Picchio De Sisti con cui ha giocato. Roma e Pisa le squadre dove viene ricordato

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Un ragioniere del centrocampo capace di illuminare il gioco e di guidare i compagni arrivato a un passo dal sogno azzurro prima che un improvviso blackout, durante una seduta di allenamento, spegnesse quella luce e lo allontanasse per sempre da un palcoscenico internazionale. È riuscito a recuperare dal gravissimo infortunio che ne aveva pregiudicato la carriera disputando 172 partite con 12 reti in serie A con un palmares di rispetto: uno scudetto (1982-83), due Coppa Italia (1979-80 e 1980-81) e un torneo di Viareggio (1981) con la Roma e una Mitropa Cup (1985) e due promozioni in A (1984-85 e 1986-87) con il Pisa. Paolo Giovannelli, cecinese, ha compiuto 65 anni il 1° ottobre e li ha festeggiati in un ristorante con la moglie Michela e i figli Mattia e Rebecca che è nata lo stesso giorno di 30 anni fa: «Ho smesso nel 1992, non per problemi fisici, ma perché in quegli anni sembrava che nel calcio si potesse fare a meno del regista. Dovevo andare al Perugia di Gaucci, ma presero Dossena, fresco vincitore dello scudetto con la Sampdoria. Così ci diedi un taglio e con i risparmi acquistai uno stabilimento balneare, l’Olimpia a Marina di Cecina, che gestisco assieme ai figli. Oggi guardo le partite in tv: Roma e Pisa. Sono stato capitano dei nerazzurri, che mancavano dalla serie A da 34 anni, e ho visto la squadra di Gilardino contro i giallorossi e i campioni d’Italia. Caracciolo e soci non meritavano di perdere: sono convinto che il Pisa troverà 4-5 squadre da mettere dietro e a salvarsi».

A 16 anni il debutto in D nel derby Cecina-Viareggio.

«Ho iniziato giocando per strada, nei campi e all’oratorio dove don Elio formava le squadre e ci seguiva nel gioco tra una messa e l’altra. A 12 anni ero nei pulcini del Cecina e a gettarmi nella mischia è stato il mister Lamberto Pazzi».

A 17 anni arriva la Roma.

«Babbo Dario, impiegato al consorzio agrario, e mamma Lilia, casalinga, non hanno mai ostacolato la mia passione. Ho preso il diploma di contabile e, se fosse andata male con il pallone, avrei trovato posto in qualche azienda. Inizialmente vivevo in un pensionato sul Lungotevere, poi con altri ragazzi del vivaio siamo andati al centro sportivo di Trigoria. Con me c’era Carlo Ancelotti, con cui sono in contatto. A Roma i tifosi ci chiamavano i “Capocciò”, per via delle nostre teste. Ho militato con i giallorossi dal 1977 al 1983, ma la gente, 45 anni dopo, mi ricorda per un gol decisivo nel derby del marzo 1980 finito 2-1».

Da bambino l’avevano ribattezzata il piccolo De Sisti.

«Giancarlo De Sisti, detto Picchio, è stato il mio idolo. Ero tifoso viola e alle medie avevo un professore di educazione artistica, malato di Fiorentina, che organizzava pullman per portarci a Firenze. Vedendo giocare De Sisti sognavo di emularlo. Il destino volle che nel provino decisivo al Flaminio per il mio ingresso alla Roma, dove era tornato il mio campione preferito, mi spedirono in campo proprio per sostituirlo. La stagione successiva Liedholm mi portò in ritiro a Norcia e “Picchio” mi prese sotto la sua ala protettrice. Ho coronato il desiderio di giocare nove partite con lui e quando ha smesso ed è diventato allenatore dei viola mi avrebbe preso alla Fiorentina se la società non fosse riuscita a ingaggiare Pecci dal Torino».

Liedholm e Simoni, i suoi maestri

«Il Barone regalava perle di saggezza. Sui giornali mi elogiava sempre “Bravo Jovanelli”, ma era attento a non esaltarci. Ricordo in allenamento una fantastica giocata di Conti: colpo di tacco con pallonetto all’avversario che lo marcava e tiro all’incrocio dei pali. Liddas si avvicina e gli fa: “Bravo Bruno, quasi come me quando giocavo”. In allenamento mi ruppi il crociato posteriore. La società voleva mandarmi a curare negli Usa perché il danno era simile a quello che si procurano i giocatori di football americano. Liedholm, nel giorno dello scudetto, mi fece entrare in campo affinché potessi cucirmi il tricolore sulla maglia. Simoni è stato un fratello maggiore per noi giocatori. Quando sono arrivato a Pisa non riuscivo neanche a piegare la gamba. Lui ha saputo aspettarmi. Era al nostro fianco nella battaglia quotidiana con il presidente Anconetani. L’anno della seconda promozione (1986-87) abbiamo riscosso il primo stipendio a Natale. Abbiamo vinto il campionato espugnando Cremona all’ultima giornata che ancora non ci erano state saldate quattro mensilità. Se non avessimo avuto Simoni a tenerci uniti non ce l’avremmo fatta». 


 

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