“Forrest Gump” corre una maratona al giorno con il diabete: «Sono quasi morto due volte, da Cortina a Milano per dare speranza»
Stefano Giovanneschi percorrerà 430 chilometri in dodici giorni: sarà costantemente monitorato da remoto durante l’impresa da medico e nutrizionista
Il diabete per due volte l’ha quasi ucciso. Sempre di notte, quando la glicemia può precipitare senza avvisare, togliendo il rifornimento di zuccheri al cervello e rischiando di non lasciarti scampo. Era il neolitico della medicina: niente sensori sottocutanei, nessun monitoraggio costante da remoto, men che mai collegato al cellulare che in caso di pericolo – oggi – suona. «Entrambe le volte mi sono ritrovato in ospedale senza ricordare nulla. Se sono ancora qua devo ringraziare mio padre e mio fratello per il primo episodio e mia moglie per il secondo», racconta Stefano Giovanneschi, 49 anni, il “Forrest Gump” livornese che da domenica comincerà la sua sfida sportiva per lanciare un messaggio di speranza a tutte le persone affette da diabete di tipo 1: percorrere 430 chilometri in 12 giorni, da Cortina a Milano, quasi una maratona al giorno. «Se mi sto allenando? Adesso no – dice – sto prendendo le ultime cose prima di partire: insulina per avere sempre i quantitativi giusti e strisce reattive per controllare le glicemie. È vero che ho il sensore, ma quelle servono sempre».
Da dove nasce l’idea di questa impresa?
«Nasce circa tre anni fa quando ho partecipato alla 100 chilometri del Passatore. Ho chiuso la gara in circa quattordici ore senza sbalzi di glicemia, nonostante il diabete. L’idea l’ho avuta nei giorni seguenti, ma per tre anni è rimasta nel cassetto. A dire il vero all’inizio pensavo di fare Livorno-Milano, poi ho guardato il percorso ed era troppo rischioso: non ci sono piste ciclabili a sufficienza. È stata mia moglie a dirmi: “Ci sono le Olimpiadi a Milano e Cortina d’Ampezzo, potresti fare quel tragitto”. E così farò».
Studiare il percorso non deve essere stato facile.
«Al contrario, è stato abbastanza semplice. Da un lato conosco quelle zone perché ci vado in vacanza, dall’altro tra Google Maps e i siti specializzati in percorsi a piedi e ciclabili è stato semplice».
Meno semplice la preparazione per una sfida cosi impegnativa.
«Corro da diversi anni, ho fatto la maratona di Pisa, la Pistoia-Abetone, quindi non partivo da zero. Diciamo che negli ultimi tre mesi ho parecchio intensificato gli allenamenti: corro cinque giorni a settimana, faccio circa 20-25 chilometri al giorno. Solo negli ultimi due mesi ho fatto 800 chilometri».
Quando si allena?
«O vado la mattina prima di andare al lavoro, verso le sei, oppure dopo il lavoro, intorno alle 18. Tra l’altro devo ringraziare i miei datori di lavoro, il Gruppo D’Alesio, perché da quando hanno saputo che preparavo questa impresa mi hanno supportato. Addirittura facendo stampare una maglietta con uno slogan perfetto per la mia sfida».
Quale è?
«“Ogni giorno un percorso, ogni giorno una vittoria in compagnia del diabete”. Che in poche parole sintetizza la vita del diabetico: perché ogni giorno non è mai uguale all’altro».
Quali potrebbero essere i momenti più difficili o critici della sfida?
«Penso i primi due giorni, perché dovrò capire come risponde il mio corpo a uno sforzo simile. L’obiettivo è non rischiare di andare oltre le possibilità fisiche, quindi stabilizzarmi. E poi le ultime due tappe perché il corpo sarà affaticato. Ecco perché sarò costantemente monitorato da remoto».
Da chi sarà controllato e come?
«Da due angeli custodi, il medico diabetologo Francesca Pancani e la dietista Anna Menasci. Ogni sera ci parleremo in video chiamata per discutere di come è andata la giornata guardando i dati e, nel caso, aggiustare certi comportamenti: le dosi di insulina, come e quando mangiare».
Quando ha scoperto il diabete?
«Avevo 18 anni, la mia fortuna è stata quella di essere un donatore di sangue. Quattro mesi prima era tutto a posto, quattro mesi dopo le analisi della glicemia erano sballate. Col senno del poi qualche avvisaglia c’era: ero un po’ dimagrito. Ma a quell’età facendo sport poteva essere normale».
È stato difficile?
«A parte le due volte che stavo per morire, no. Serve essere molto disciplinati. Magari a 18 anni quando vai fuori con gli amici o in vacanza è più difficile».
Cosa direbbe a un ragazzo che scopre oggi di avere il diabete?
«Intanto di non avere paura. Perché anche con il diabete si può avere una vita normale. Prima ti dicevano che alcune cose non si potevano fare: non è così. Tra l’altro oggi l’età in cui si scopre la malattia si è abbassata molto, addirittura succede a tre o quattro anni. Ecco perché è importante veicolare un messaggio di speranza: la tecnologia e la medicina, e io ne sono la prova, hanno fatto passi da gigante rispetto a 30 anni fa».
Lei ha dovuto rinunciare a qualcosa?
«Inizialmente dicevano che non puoi mangiare i dolci, ma gli zuccheri sono dappertutto. Bisogna fare attenzione all’alimentazione, è fondamentale. Ma dico anche un’altra cosa e la ripeto a me stesso in vista della sfida: alla fine portiamo sempre a casa la vittoria». l