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L’operazione

Prato, maxi sequestro di Natale: così nascevano borse e cappotti contraffatti – Chi c’era dietro all’organizzazione

di Redazione Prato

	Un momento dell'operazione
Un momento dell'operazione

Scatoloni colmi di borse, cappotti imbustati, pacchi ordinati come in un vero centro logistico del made in Italy. Ma di autentico, dentro, non c’era nulla

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PRATO. Nei magazzini stipati del Macrolotto, a Prato, e dietro le vetrine del centro, tra via Ghisleri, via Chemnitz e via Pistoiese, scorreva un fiume silenzioso di merce contraffatta, pronta a inondare il mercato natalizio. Giubbotti con loghi “perfetti”, quelli dei brand della moda, scatole arancioni e dorate che imitano l’eleganza del lusso, cosmetici, tessuti, persino prodotti destinati al contatto con gli alimenti. Tutto falso, tutto irregolare. È qui che la guardia di finanza di Prato, su impulso della Procura, ha calato la rete sequestrando oltre 75 mila articoli in un’operazione capillare che disegna l’ennesima mappa dell’illegalità nella Chinatown pratese.

Cosa è successo

Le immagini raccontano più delle cifre: i finanzieri che aprono scatoloni colmi di borse, cappotti imbustati, pacchi ordinati come in un vero centro logistico del made in Italy. Ma di autentico, dentro, non c’era nulla. I marchi riprodotti con “spiccata fedeltà” sono quelli dell’olimpo della moda: Louis Vuitton, Dior, Givenchy, Ralph Lauren, Hermès, Celine, Valentino. Accanto, cosmetici senza etichette a norma, contenitori per alimenti privi di requisiti minimi di sicurezza. Un miscuglio «potenzialmente pericoloso per la salute pubblica», scrive la procura guidata da Luca Tescaroli.

L’operazione

L’operazione è il frutto di appostamenti, pedinamenti, incroci di banche dati, controlli ripetuti nel tempo. Otto le aziende finite sotto la lente, tutte riconducibili a cittadini cinesi tra i 27 e i 51 anni. Cinque le persone al momento indagate per il reato continuato di contraffazione e alterazione di marchi. Durante un controllo, una donna di 34 anni ha esibito un documento d’identità appartenente a un’altra persona: un dettaglio che aggiunge un’ombra ulteriore a un sistema già opaco. Se quei prodotti fossero finiti sul mercato, l’illecito profitto stimato avrebbe sfiorato i 500mila euro. Una cifra che dà la misura del giro d’affari e del danno inferto alla concorrenza leale. Accanto al fronte penale, sono già scattate le procedure amministrative: Camera di commercio, Regione Toscana e Icqrf del ministero dell’Agricoltura sono stati coinvolti per le violazioni su etichettature e sicurezza. Un’operazione che la Procura definisce necessaria per “rassicurare la collettività e l’imprenditoria sana”. Ma che, ancora una volta, fotografa una città sospesa tra eccellenza produttiva e sottosuolo illegale. Dove il confine tra il vero e il falso, nei capannoni della moda, continua a essere pericolosamente sottile.

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