Il Tirreno

Prato

Il distretto parallelo

I Cobas contro lo sfruttamento a Prato: «Spostare gli operai dove si spostano le commesse»


	Luca Toscano (Sudd Cobas) davanti a uno dei pronto moda interessati dalla protesta
Luca Toscano (Sudd Cobas) davanti a uno dei pronto moda interessati dalla protesta

Altri picchetti al Macrolotto: «Così si salva il vero made in Italy dal falso made in Italy». Furfaro (Pd) e la Cgil chiedono il ritiro dell’emendamento “salva imprese”. La Porta (FdI): «Non conoscono le norme»

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PRATO. Spostare i lavoratori dove si spostano le commesse: così si salva il vero made in Italy dal falso made in Italy. È la richiesta del sindacato Sudd Cobas che arriva dall’ennesimo picchetto davanti a un pronto moda cinese del Macrolotto, stavolta la Olaa Moda di via del Molinuzzo.

Perché proprio da qui? Perché qui alcune settimane fa, racconta Luca Toscano del Sudd Cobas, i lavoratori erano riusciti a strappare migliori condizioni di lavoro nel corso dell’offensiva degli Strike Days, cioè il rispetto del contratto, otto ore per cinque giorni, ma poi, come spesso accade, il committente della confezione-stireria dove i lavoratori erano impiegati, cioè la Olaa Moda, aveva tolto le commesse alla stireria e le aveva girate ad altri fornitori di cui non si conosce il nome ma che si suppone continuino a sfruttare i loro dipendenti. Quelli della prima confezione non hanno nemmeno saputo di aver perso i loro diritti. Lo hanno scoperto quando è arrivata la busta paga con la liquidazione del Tfr e hanno capito di aver continuato a lavorare per più di un mese senza contratto.

Così vanno le cose nel Far West del “distretto parallelo”, dove i committenti possono cambiare fornitore da un giorno all’altro quando il costo del lavoro sale perché gli operai ottengono il rispetto dei loro diritti. Ecco perché il Sudd Cobas chiede l’estensione della “clausola sociale” al settore del tessile abbigliamento. Significa che il committente è tenuto a farsi carico dei dipendenti del fornitore quando sposta le commesse. Funziona così nel settore della logistica, in quello delle pulizie, ovviamente nel settore pubblico (vedi il caso delle cooperative che lavorano per i Comuni), ma non funziona nel tessile abbigliamento, dove ce ne sarebbe forse ancora più bisogno, soprattutto a Prato.

Il tema è di stretta attualità perché in queste ore anche il Partito democratico e la Cgil protestano contro un emendamento di Fratelli d’Italia al disegno di legge sulle piccole e medie imprese, approvato dalla Commissione industria del Senato, ma non ancora legge. Con questo emendamento si esonera di fatto il committente dai controlli sulle condizioni di lavoro nella filiera: basterà ottenere un certificato. Uno di quelli che vengono rilasciati dalle società private di controllo pagate dagli stessi committenti. Non c’è bisogno di essere particolarmente maliziosi per sospettare che questo tipo di controlli raramente raggiungono lo scopo.

«Volete un esempio? – dice Luca Toscano – L’’Alba di Montemurlo (dove a metà settembre è stato picchiato un lavoratore che protestava, ndr) è un’azienda certificata, La Z Production che lavorava per Montblanc era certificata. Il privato paga il privato per ottenere questo tipo di certificazioni e il governo vuole dare un valore legale a questo sistema».

La Cgil: “Colpo di spugna ingiustificato”

«Un colpo di spugna ingiustificato – commenta Daniele Gioffredi, segretario della Camera del lavoro Cgil – che per di più impatta nella realtà socioeconomica di Prato. Si fanno discorsi, anche da forze localmente governative, sulla legalità da ripristinare, e poi si introducono modifiche legislative che giustificano l’illegalità. Dallo scudo fiscale per chi ha evaso, si passa ora allo scudo penale per chi sfrutta. Chiediamo al governo e al Parlamento di tornare indietro. Facciamo appello a tutte le forze politiche e sociali locali, alle imprese strutturate e serie del nostro distretto, e più in generale del sistema moda, che investono in qualità e buon lavoro, di far sentire la propria voce».

Furfaro (Pd): “Così si certifica lo sfruttamento”

«È surreale e vergognoso ciò che sta accadendo – gli fa eco il deputato Pd Marco Furfaro – Mentre a Prato il procuratore Tescaroli firma un protocollo per proteggere i lavoratori sfruttati e combattere il caporalato, Fratelli d’Italia approva un emendamento che fa l’esatto contrario: certifica per legge lo sfruttamento. Con l’emendamento Amidei-Ancorotti, il committente nel settore moda potrà liberarsi da ogni responsabilità rispetto agli appalti e ai subappalti. In pratica, potrai vendere un vestito a 500 euro anche se chi lo ha cucito è stato pagato due euro e mezzo l’ora, senza che nessuno possa più controllare. È un colpo di mano indegno che cancella anni di battaglie contro il lavoro nero e il caporalato».

Al Macrolotto i picchetti del Sudd Cobas, per le stesse ragioni, son anche davanti ai pronto moda Bei Bei Fashion e Sunny Fashion.

«In certi casi i committenti hanno preso gli operai che avevano perso il lavoro – dice la sindacalista Sarah Caudiero – Per noi così si salva il made in Italy, garantendo certe condizioni di lavoro. Noi qui a Prato siamo un laboratorio in questo senso. Preoccuparsi della cattiva pubblicità, da parte degli industriali e dei grandi marchi, è la linea peggiore. La soluzione è far emergere il problema».

La Porta (FdI): “Non conoscono le norme”

«L’onorevole Marco Furfaro ha perso l’ennesima occasione per non fare una figuraccia, dimostrando non solo di non essere in grado di comprendere le norme, ma anche di saper solo sbraitare sguaiatamente pur di attaccare il governo – replica Chiara La Porta, deputata di Fratelli d’Italia – Gli emendamenti al disegno di legge sulle piccole e medie imprese, che le associazioni e le imprese di categoria, peraltro, aspettavano da decenni, affrontano il tema della legalità nella filiera della moda, prevedendo un innovativo sistema di certificazione della filiera stessa: in pratica, il controllo è a monte e non a valle. La certificazione dura un anno e sono previsti audit esterni, oltre a tutti gli altri requisiti per il mantenimento dello status di filiera certificata; sono introdotti strumenti che consentono la tracciabilità dei contratti e della lavorazioni dalla capofila fino ai sub fornitori, in modo tale da rafforzare la lotta in materia di tutela del lavoro. Se, dopo tutti i controlli previsti, un pezzo terminale viola la legge, si può tranquillamente escludere la responsabilità della capofila che invece rispetta tutti i criteri previsti dalla legge. Si tratterebbe in pratica di una responsabilità oggettiva, che non è addebitabile alla capofila. Studiare e approfondire prima di lanciare accuse sarebbe il minimo che un deputato eletto dai cittadini dovrebbe fare».

La replica di Furfaro

«È patetico il tentativo di Fratelli d’Italia di nascondere dietro la parola certificazione una norma che toglie responsabilità alle grandi aziende e indebolisce i controlli – replica Marco Furfaro – A Prato nessuno si beve questa favola. La Porta parla di “sistema innovativo”, ma è talmente innovativo che Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro urgente al ministro Urso per capire come sia possibile cancellare la responsabilità dei committenti. La Porta lo conferma: c’è chi combatte lo sfruttamento e chi, come la destra, lo trasforma in legge».

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