Il Tirreno

Toscana

Territorio fragile

Un quinto della Toscana è a rischio frane, il docente: «Le zone più esposte e cosa fare per difendersi»

di Francesco Paletti

	Una frana a Stazzema nell'aprile scorso
Una frana a Stazzema nell'aprile scorso

L’assessora regionale Monia Monni snocciola gli interventi: «Dal 2019 a oggi abbiamo investito 450 milioni di euro». Le priorità per la nostra regione

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C’è un dato che meglio di tutti fotografa l’impegno dell’amministrazione regionale per la riduzione del rischio idrogeologico su tutto il territorio toscano. Accompagnato, però, a una considerazione niente affatto trionfalistica. Ed entrambi sono firmati da Monia Monni, almeno fino alla proclamazione della nuova giunta (di cui, comunque, lei farà quasi sicuramente parte), assessora in carica all’ambiente, alla protezione civile e alla difesa del suolo e del servizio idrico integrato.

Gli interventi: parla l’assessora

«Gli interventi principali? Potrei citare quelli a Livorno e a Campo Regio, nel comune di Orbetello. O ancora il Carrione a Massa Carrara e poi la messa in sicurezza del bacino dell’Arno, con le casse d’espansione a Firenze e a Roffia e il rafforzamento dello Scolmatore, ma ne ho dimenticati e tralasciati tantissimi altri perché dal 2019 a oggi sulla riduzione del rischio idrogeologico come Regione Toscana abbiamo investito ben 450 milioni», dice. E lo fa non per autoincensarsi. Semmai, lo scopo è quasi opposto. «Gli interventi non sono mai di messa in sicurezza in senso assoluto, piuttosto di riduzione del rischio idraulico e idrogeologico, consapevoli che il “rischio zero” non esiste – aggiunge –. Per questo è importante non illudere i cittadini immaginando interventi risolutivi definitivi». Motivo per cui per l’assessora Monni, «accanto all’impegno infrastrutturale, è necessario mettere in campo pure un forte lavoro culturale collettivo centrato sulle comunità: dobbiamo imparare a convivere e gestire questi rischi anche con le buone pratiche di protezione civile, la formazione, l’informazione e la consapevolezza dei comportamenti corretti in caso di emergenza».

Il punto del docente

Da qui parte anche il professor Roberto Giannecchini, docente di geologia applicata all’Università di Pisa. «La formazione della popolazione, in particolare di quella che vive nelle aree che possiamo considerare un po’ più a rischio, è importantissima: ben venga la telefonata che ci avvisa dell’arrivo di una perturbazione – spiega –. Dopodiché, però, bisogna anche sapere come comportarsi di conseguenza: ossia, se la nostra casa è in una zona sicura o meno, se è il caso di andare al lavoro oppure è meglio non muoversi e così via. Altrimenti anche la telefonata rischia di non raggiungere l’effetto voluto».

Le zone 

Parla di aree a rischio il professore, «anche se è vero che zone in cui ci si può considerare completamente lontani da ogni minaccia non ce ne sono», si corregge subito dopo. Innegabile se è vero che circa un quarto del territorio regionale (21%) è a rischio frane elevato o molto elevato, come certifica anche il rapporto Ispra “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”. Però sì, anche sulla base della frequenza di eventi quali alluvioni o frane, non è fuori luogo che alcune zone possano essere considerate più a rischio di altre. Quali? «Nella nostra regione le zone in cui, storicamente, sono più numerosi gli eventi alluvionali o franosi interessano soprattutto la Toscana settentrionale: dall’Alta Versilia alle Apuane passando per la Garfagnana». Causa anche gli effetti del cambiamento climatico, però, a queste negli ultimi anni se ne sono aggiunte altre: «In particolare quelle dell’area fiorentina, penso alla zona di Campi Bisenzio ma anche al Mugello – continua Giannecchini –: lì almeno fino a trenta o quarant’anni fa la frequenza di eventi alluvionali o franosi era minore di oggi. Ma un discorso simile vale pure per l’Isola d’Elba».

Le priorità

Tanto è stato fatto. «Soprattutto contro il rischio alluvionale con gli interventi di messa in sicurezza del reticolo fluviale della regione, a cominciare dai fiumi maggiori: non solo l’Arno, ma anche il Serchio e l’Ombrone» continua il professore. Molto, però, resta da fare. Soprattutto contro il rischio frane «su versanti collinari e montuosi della regione, in via di crescente spopolamento e, quindi, sempre meno curati e custoditi dal lavoro dell’uomo». E poi indica anche una priorità per i prossimi anni: «Penso in particolare all’area fra Carrara e il territorio spezzino, e in particolare alla zona di Brugnato: lì alcuni interventi sono stati effettuati e altri sono in cantiere, ma credo si debba accelerare».

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