Prato, scarcerato l’ex militare cinese accusato di tentato omicidio: il ricorso vinto per una traduzione
I poliziotti della squadra mobile che all’inizio di aprile lo hanno rintracciato in un ristorante di Padova gli davano la caccia da nove mesi
PRATO. La traduzione dall’italiano al cinese dell’ordinanza di custodia non è arrivata in tempo e così un ex militare dell’esercito cinese, su cui pende la grave accusa di tentato omicidio, è stato scarcerato. L’arrestato, che nei giorni scorsi ha lasciato la scomoda sistemazione in una cella della casa circondariale della Dogaia, si chiama Nengyin Fang, ha 36 anni e non è un signor nessuno, almeno per quanto riguarda lo spessore criminale che gli si attribuisce. I poliziotti della squadra mobile che all’inizio di aprile lo hanno rintracciato in un ristorante di Padova gli davano la caccia da nove mesi, da quando cioè, il 6 luglio 2024, il connazionale Chang Meng Zhang se la vide molto brutta all’interno del locale notturno Number One di via Scarlatti, raggiunto da numerose coltellate che fecero temere per la sua vita. Scaricato in via Marsala, fu salvato in ospedale e poi ha iniziato a collaborare con la magistratura.
Il tentato omicidio di Chang Meng Zhang ha dato il via alla fase più cruenta di quella che è stata chiamata la “guerra delle grucce” e che ora sembra vivere un lungo momento di tregua. Secondo la Procura i sei membri del commando omicida erano arrivati da fuori, alcuni forse proprio dall’estero, con il compito di togliere di mezzo un imprenditore che dava fastidio perché non rispettava le regole di un “cartello” che impone certi prezzi per la commercializzazione degli appendiabiti (da qui la “guerra delle grucce”, che poi si è trasformata in guerra della logistica). Cinque presunti aggressori furono arrestati quasi subito (quattro in Calabria, il quinto in Sicilia) mentre il sesto, Nengyin Fang, riuscì a sfuggire alle ricerche e si rifugiò in Veneto, dove poi è stato rintracciato.
Il trentaseienne cinese, difeso dall’avvocato Alessandro Fantappiè, è stato poi trasferito nel carcere della Dogaia, dove è rimasto per cinque mesi. Il giudice per le indagini preliminari di Padova ha convalidato l’arresto e ha trasmesso gli atti al gip di Prato, che ha rinnovato l’ordinanza di custodia, come è prassi in questi casi. Qui probabilmente il meccanismo si è inceppato, perché la traduzione dall’italiano al cinese, a cui l’arrestato ha diritto, non sarebbe arrivata nei termini indicati dal Codice di procedura.
L’avvocato Fantappiè non si è lasciato sfuggire l’occasione e ha scelto di presentare ricorso direttamente in Cassazione, rinunciando al ricorso al Tribunale del riesame. Il ricorso è stato accolto e i giudici hanno ordinato la scarcerazione dell’arrestato. Le motivazioni della decisione non sono state ancora depositate, ma si suppone che all’origine del provvedimento ci sia proprio la mancata traduzione.
Nengyin Fang però non è uccel di bosco. Le nuove norme varate dal governo prevedono che in questi casi, se a essere scarcerato è uno straniero senza permesso di soggiorno, come nel caso di Fang, l’indagato venga immediatamente trasferito in un Cpr (Centro per il rimpatrio) in attesa dell’espulsione dall’Italia. Potrebbe essere questo il destino di Fang, visto che il Consolato cinese aveva già collaborato con la polizia nell’identificazione dell’arrestato, in aprile. Il processo con rito abbreviato, previsto per il 19 settembre, è stato rinviato a ottobre.
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