Prato, gli stranieri vivono e lavorano qui ma per morire tornano alle radici
L’analisi dei numeri dell’anagrafe sui decessi nel 2024: solo 28 cinesi sui 350 attesi
PRATO. Per quanto un albero possa diventare alto, le sue foglie, cadendo, ritorneranno sempre alle sue radici. È un proverbio cinese che forse spiega alcuni numeri contenuti nelle statistiche di fine anno sulla popolazione di Prato. In particolare sul numero dei morti di origine straniera. Stando all’Ufficio anagrafe, nel corso del 2024 in città ci sono stati 2.150 decessi, suddivisi tra 1.005 uomini e 1.145 donne. Di questi, però, pochissimi risultano di origine straniera: solo 28 cinesi, 10 albanesi e 2 romeni.
In una delle capitali italiane dell’immigrazione ci si sarebbe potuti aspettare numeri differenti. Soprattutto per quanto riguarda i cinesi: se è vero che all’anagrafe ne risultano iscritti oltre 32.000 su una popolazione totale di poco superiore ai 196.000, i morti cinesi avrebbero dovuto essere circa 350, non 28. Ma la leggenda metropolitana che circolava anni fa, cioè che i cinesi nascondessero i morti per riciclare i documenti d’identità, è per l’appunto una leggenda. Una spiegazione per questi numeri è che i cinesi di Prato hanno un’età media molto più bassa degli italiani e dunque, logicamente, muoiono di meno, come si sa da tempo. Però è una spiegazione che non spiega tutto, non spiega il divario enorme tra 350 e 28. Per quanto riguarda i cinesi, va tenuto conto anche dell’effetto Covid: durante la pandemia o subito dopo, non pochi cinesi sono tornati nello Zhejiang. Chi era avanti con gli anni, oppure aveva chiuso la propria attività che non andava più bene, ha deciso di restare in patria e non tornare in Italia una volta finita l’emergenza. A questa spiegazione poi ne va aggiunta un’altra, di tipo forse culturale, che racconta anche i tratti specifici di questa immigrazione. Molti stranieri vivono e lavorano qui, mandano i figli a scuola e fanno progetti per il futuro, ma quando si avvicina l’ultima ora preferiscono tornare alle origini, al paese di provenienza, come la foglia che cade accanto alle radici del proverbio cinese. Solo questo può spiegare la sproporzione di certi numeri. Che non riguarda solo i cinesi, ma in misura molto meno marcata anche i romeni. Facendo una proporzione tra i circa 3.000 iscritti all’anagrafe, ci si potevano aspettare 33 decessi, anziché i soli 2 registrati. Anche qui può giocare un ruolo l’età media più bassa. Così come per gli albanesi: risultano solo 10 decessi rispetto a una previsione statistica di 38. Stesso discorso per i pachistani, che sono oltre 2.600 e rientrano tra i 3 decessi di tutti i provenienti dall’Asia; o di chi arriva dall’Africa (5 decessi per gli oltre 3.200 presenti).
Insomma, al netto delle differenti classi di età tra italiani e stranieri, i numeri dell’anagrafe ci raccontano che non è ancora arrivato il momento in cui un uomo o una donna arrivati da Wenzhou, da Tirana, da Bucarest o da Karachi si sentiranno davvero a casa a Prato, tanto da volerci anche morire. Questo si spiega anche col fatto che l’immigrazione in città è relativamente giovane. Chi è vicino alla sua ultima ora spesso è cresciuto lontano ed è comprensibile che voglia tornare alle radici. I figli e i nipoti, invece, stanno mettendo le radici qui e accanto a queste radici forse vorranno cadere.