Covid, inflazione, aiuti al sistema: ecco perché a Prato le rette delle Rsa sono aumentate
Le Case di riposo che operano a Prato replicano ai sindacati sui rincari
PRATO. «Oggi, per noi, è il momento di chiedere scusa, con i familiari dei nostri ospiti nella consapevolezza che avere un congiunto in Rsa è pesante, anche economicamente. Ma anche quello di dire che il ritocco alle rette è stato inevitabile, non potevamo fare altrimenti».
I referenti delle cooperative e imprese che gestiscono l’80% delle Case di riposo di Prato non ci stanno a subire in silenzio l’attacco dei giorni scorsi dei sindacati sull’aumento delle rette nelle Rsa e ci tengono a precisare alcuni aspetti girando la responsabilità sulla Regione che «in 11 anni ha riconosciuto un aumento di spiccioli (1, 62 centesimi al giorno) a fronte di un aumento dei costi che oscilla tra il 10 e il 15%». A parlare a nome delle strutture sono Adriana Tiezzi e Margherita Forciniti per Astir e Casa di Marta, Vladimiro D’Agostino per Sarah, Paolo Migliorini e Teresa Aloi per Arsa e Riccardo Petrini per Santa Caterina de’Ricci.
Gli aumenti
I referenti delle strutture specificano che l’aumento delle rette è di circa 5 euro al giorno per una retta totale di 116, 50 euro con piccole variazioni tra una struttura e l’altra a fronte di una quota sociale, quindi quella pagata dall’ospite, che non può superare i 62, 50 euro al giorno a cui si sommano i 54 euro della quota sanitaria. «Alcune strutture avevano già aumentato la quota, la maggioranza lo farà però dal primo aprile per i nuovi ospiti e in modo graduale per gli altri». Le Rsa quindi cominciano dallo specificare che gli aumenti ci sono ma sono la metà di quanto invece evidenziato nei giorni scorsi dai sindacati. Un aumento voluto? Che prevede utili ulteriori per le strutture? «Neanche a parlarne», rispondono in coro i referenti spiegandone i motivi.
Covid e inflazione
Tra i primi temi che i referenti delle Rsa pratesi toccano ci sono i tre anni di pandemia e gli sforzi fatti in quel periodo. «Un lavoro – spiegano – che ci è stato riconosciuto solo successivamente mentre noi siamo stati avamposto. Le bolle Covid, la sostituzione degli ospedali nei ricoveri per evitare di portare lì gli anziani. Un enorme sforzo a cui, una volta terminato, si è sommata l’inflazione con un aumento dei costi fino al 15% che i 5 euro in più sono lontani dal recuperare».
A tutto questo si somma la sostituzione, tuttora in corso, che le Rsa fanno degli ospedali non più in grado di far fronte a tutte le esigenze. Un esempio classico: si dimettono i pazienti anziani, con situazioni gravi, in condizioni tali da non poter rientrare a casa. Si dimettono dall’ospedale ma si inviano nelle Rsa con la richiesta di una presenza di personale infermieristico per 24 ore. Di fatto, in questa fase di riorganizzazione complessiva della sanità toscana, i referenti delle case di riposo parlano di un loro impegno in sostituzione delle strutture intermedie. Un lavoro («che precisiamo portiamo avanti con una collaborazione fattiva e buona con le Società delle salute e i Comuni») che va a pesare ulteriormente sui costi anche per il turnover elevato dal momento che i ricoveri “prolungati” sono comunque a tempo determinato.
La ripartizione dei fondi
Tra i temi sollevati anche quello, complesso, dell’attribuzione delle quote che - alla fine – sarebbero meno di quelle reali. Un risparmio per la Regione di 20-30 milioni destinati a copertura del deficit che riduce le quote convenzionate e quindi “taglia” i posti con contributo pubblico nelle Rsa. «Su questo tema che solleviamo da tempo – sottolinea Migliorini – dobbiamo ringraziare l’assessora Spinelli che ci ha seguiti aiutandoci ad avere i dati reali delle quote effettivamente erogate».
Concorrenza e personale
Un tema che ha poco a che fare con l’aumento delle rette ma che è tra i problemi più sentiti dalle strutture per gli anziani: in Toscana, i Comuni possono autorizzare direttamente l’apertura di Rsa. Questo apre a investimenti esterni. «Arrivano gruppi dal Veneto, dalla Lombardia e da altri paesi europei con, alle spalle, utili possibili grazie a leggi diverse. Se poi, si convenzionano, siamo costretti a dividerci le quote. In Lazio, ad esempio, serve un’autorizzazione regionale che viene data in base a una programmazione. Si tratta di concorrenza sleale anche perché capita si autorizzino due strutture in pochi metri mentre noi, sulla regola del piccolo è bello, non abbiamo potuto avere più di 80 ospiti».
Situazione complessiva che ci porta «a non poter pagare i nostri dipendenti come quelli del pubblico – e su questo i sindacati dovrebbero fare una battaglia - con una fuga continua di Oss, infermieri verso le Asl».