Il Tirreno

Pistoia

La sentenza

Cade dalla moto e chiede i danni: il giudice lo condanna a pagare 30mila euro

di Pietro Barghigiani
Cade dalla moto e chiede i danni: il giudice lo condanna a pagare 30mila euro

E l’amico testimone rischia una denuncia per falsa testimonianza

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PISTOIA. Chiedeva al Comune almeno 374mila euro di risarcimento danni per una buca, a suo dire, non segnalata che si era trasformata in una trappola capace di farlo carambolare in moto contro un cassonetto e un’auto prima di rotolare sull’asfalto finendo ko. Le rivendicazioni economiche del motociclista sono state spente dal Tribunale che non solo ha rigettato la richiesta danni, ma lo ha condannato a pagare al Comune citato in giudizio quasi 30mila euro di spese legali. Con un’aggiunta a corredo della sentenza: la giudice Lucia Leoncini ha mandato le carte in Procura per valutare l’ipotesi di reato di falsa testimonianza, o altri profili che riterranno di individuare, a carico di un teste portato a sostegno della tesi del giovane centauro.

Lo schianto

L’incidente risale al pomeriggio del 9 maggio 2020 in via di Santomoro. Il motociclista supera un ciclista e incappa in un avvallamento nella fase di sorpasso, così sostiene nella sua citazione in Tribunale. Perde l’equilibrio e si schianta contro un cassonetto e un’auto. Sdraiato sull’asfalto e dolorante, viene soccorso dai mezzi inviati dal 118. Attorno a lui alcuni passanti che chiamano e attendono l’ambulanza. Le lesioni sono serie, anche se non è in pericolo di vita.

La citazione del Comune

Nella causa vengono sentiti testimoni e acquisiti i verbali della polizia municipale. E la conclusione del giudice è che il motociclista “non ha fornito adeguata prova della fondatezza della propria pretesa già in punto di modalità di accadimento del sinistro e, in particolare, di nesso causale tra manto stradale su carreggiata di proprietà comunale e danni”.

Testimone dubbio

Fin qui la disputa tra chi sostiene di essere caduto per una buca e il Comune, presunto responsabile della mancata manutenzione. Ma nel corso del procedimento appare sulla scena dell’incidente un teste, amico del motociclista. Dichiara: «Sì è vero, in quel luogo e in quella data e orario mi trovavo alla guida del mio motociclo e avevo davanti (nome del ferito ndr). Confermo anche che la buca si trovava nel punto raffigurato nelle fotografie che mi sono state mostrate. Preciso che non si trattava di una spaccatura dell’asfalto ma di un affossamento dello stesso. Preciso che nelle fotografie la buca risulta ricoperta ma all’epoca del sinistro c’era ancora». Aggiunge poi di essersi fermato subito dopo averlo visto il cadere: «Poi sono arrivati anche gli altri ragazzi che erano con noi in motocicletta». Quella testimonianza non è stata ritenuta credibile dal giudice che ha ascoltato altri testimoni presenti sulla strada che hanno escluso di aver visto l’amico in moto che sosteneva di essere stato dietro il centauro finito a terra.

Una donna aveva soccorso il giovane ferito. Era stata lei a chiamare l’ambulanza. «Altre persone erano accorse – ha fatto mettere a verbale –. Ricordo che si erano avvicinate e io dissi loro di fare largo per fare aria al ragazzo a cui tenevo la mano». Nel suo racconto, però, l’amico-teste aveva riferito di non ricordare di aver visto la donna «la quale ha invece asserito (da posizione di perfetta terzietà) non solo di aver chiamato lei stessa l’ambulanza – riporta la sentenza -, ma di avergli fatto compagnia finché l’ambulanza è arrivata da ciò l’inverosimiglianza del racconto del testimone perché, dovendosi ritenere attendibile la teste per quanto detto, pare impossibile che (l’amico del motociclista) non l’abbia vista vicina al ferito nell’immediatezza dei soccorsi».

Atti in Procura

Di qui la decisione del giudice di disporre la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica «per le indagini di propria competenza in ordine ai reati eventualmente configurabili nei fatti di causa e avvenimenti processuali come descritti in motivazione».l


 

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