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Bastione del Parlascio, uno scrigno di storia troppo a lungo abbandonato

di Fabio Vasarelli
Bastione del Parlascio, uno scrigno di storia troppo a lungo abbandonato

L’antica fortificazione, dopo alterne vicende, è pronta per essere restituita alla città Sarà un museo multimediale e un punto di accesso al camminamento sulle Mura

06 marzo 2023
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Il Bastione del Parlascio è quasi pronto per essere restituito alla città, in qualità di museo multimediale e come punto di accesso ulteriore al camminamento delle nostre Mura. Si tratta di un altro piccolo tassello di storia pisana che viene quantomeno tirato a lucido. La stratigrafia storica, che si potrà “leggere” all’interno del bastione, è di fondamentale importanza per capire i sistemi difensivi di Pisa repubblicana e dei successivi secoli. Ancora più vitale dovrà essere il recupero e la valorizzazione della Porta del Parlascio, probabilmente la più bella e la più importante (insieme alla Porta del Leone) delle mura del XII secolo (l’unica ad avere capitelli decorati). E chissà se in quella zona, tra l’Auser e la civitas altomedievale, non vi fosse un precedente varco, appartenuto alla precedente cerchia muraria. Pensare che fino a poco tempo fa è stata il portone di un’autofficina, ricoperta di rovi e senza nemmeno un cartello. Il toponimo Parlascio, come ormai noto, deriva dalle rovine di epoca romana (l’anfiteatro e/o le terme adiacenti), utilizzate come grandi magazzini di pietre. Lo suggerisco anche altri toponimi limitrofi: “alle grotte” e “petricio”, mentre il paralisium latino era proprio l’anfiteatro (ubicato in via San Zeno).

Le vicende della Porta si intrecciano alla storia della città e ne certificano fatti e misfatti; dalla fortificazione della stessa (sec. XIV) alla torre attribuita al Brunelleschi durante la prima occupazione fiorentina. Fino alla definitiva chiusura in ragione della costruzione di un bastione e della Porta Lucchese adiacente (stessa operazione fatta con la Porta del Leone e l’apertura della Porta Nuova). Cancellare, coprire, negare e distruggere era ciò avvenne in tutta la città, soprattutto in epoca medicea. Il Bastione del Parlascio, che dunque non è l’inizio della storia del luogo, ma solo una sua fase storica, costruito da Nanni Ungaro negli anni 1542-44, fu l’aggiornamento del sistema difensivo pisano dell’epoca, che pian piano svanì nei decenni fino al 1781, con l’inizio dell’alienazione delle strutture militari da parte dei Lorena, impegnati soprattutto nelle bonifiche e nelle opere pubbliche più prossime ai cittadini.

L’esigenza di smilitarizzare e di “fare cassa” portò anche alla vendita delle strutture del forte, utilizzato ormai come ghiacciaia per le attività commerciali. Gli spazi ombrosi e umidi, uniti all’esposizione Nord del Parlascio, erano eccellenti per la conservazione dei cibi e del ghiaccio a partire dal XVIII sec. fino all’invenzione del frigorifero. L’Ottocento vide il Bastione anche teatro del gioco della palla al bracciale, con il campo tracciato appena a occidente, a ridosso delle mura. Durante il secondo conflitto mondiale venne riscoperto il carattere militare del Parlascio e le sue strutture furono utilizzate come rifugio antiaereo dagli abitanti del quartiere. Nel dopoguerra il bastione venne diviso in 3 proprietà distinte e venduto a privati. Nel corso di questi decenni venne annesso alla struttura un bar e all’interno del bastione venne realizzata un’autofficina. Ma nessuno, dai tempi della guerra, aveva messo più piede lì dentro. Chissà se i molti studenti che lì hanno preso il pullman, si sono mai chiesti cosa ci fosse dietro quella porticina di metallo sempre chiusa a ridosso di quelle pietre cinquecentesche. L’ultima proprietà privata è stata quella della famiglia Cellai, intenzionato a utilizzare il Parlascio come museo delle armi, mentre a livello universitario, un progetto diverso da quello attuale prevedeva un utilizzo degli spazi interni come aule per lo studio. Il 24 maggio 2013 c’è stato l’acquisto, da parte del Comune, dell’ultima porzione privata del bastione, creando i presupposti per un recupero pieno di tutti gli ambienti.

Avanti, dunque, col recupero e la valorizzazione di spazi abbandonati, con auspicabile cura della cartellonistica e delle informazioni fruibili da cittadini e turisti. La città ha bisogno come il pane di fare quadrato intorno al proprio ricchissimo patrimonio, ma ha anche bisogno di rivalutare con obiettività l’importanza di luoghi, toponimi, tradizioni e documenti cancellati nei secoli e dimenticati, o non raccontati da chi dovrebbe e potrebbe farlo, non certo un biologo e un ingegnere. Libri, saggi e studiosi non mancano, ma non deve mancare la volontà di raccontare e spiegare anche in maniera semplice e diretta.

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