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Dal tribunale

Pisa, morta a 57 anni per un catetere non sterile: maxi risarcimento

Pietro Barghigiani
Pisa, morta a 57 anni per un catetere non sterile: maxi risarcimento

Un decesso improvviso mai accettato da marito e figlia che, assistiti dagli avvocati Simona Baldi e Nicola Favati, dopo aver citato per colpa medica l’Azienda ospedaliera ora hanno chiuso il contenzioso dopo aver raggiunto un accordo stragiudiziale

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PISA. Un’infezione provocata da un catetere non sterile. E una terapia antibiotica somministrata con oltre due giorni di ritardo. Quello che doveva essere fatto in sicurezza e nei tempi fissati dai protocolli sanitari avrebbe potuto salvare la paziente, una 57enne ricoverata da quasi un mese dopo essere stata colpita da aneurisma cerebrale. Non fu così. Più di un passaggio andò storto in una sequenza di responsabilità che i consulenti del Tribunale attribuiscono agli operatori sanitari.

Il decesso

La donna morì il 6 aprile 2015. Era arrivata al pronto soccorso in gravi condizioni il 7 marzo. Se per l’aneurisma la fase acuta era superata e i medici ipotizzavano l’inizio di una riabilitazione, l’imprevisto che di lì a poco condannò la paziente può essere fissato alla data del 2 aprile, il giorno dell’applicazione del catetere. Un conto alla rovescia concluso quattro giorni dopo con la morte della donna.

La causa

Un decesso improvviso mai accettato da marito e figlia che, assistiti dagli avvocati Simona Baldi e Nicola Favati, dopo aver citato per colpa medica l’Azienda ospedaliera ora hanno chiuso il contenzioso dopo aver raggiunto un accordo stragiudiziale. L’Azienda pagherà circa mezzo milione di euro agli eredi per evitare il giudizio in sede civile. Sposata e madre di una figlia, la vittima viveva a Vecchiano e lavorava come decoratrice di ceramiche. Per il marito, ora 67enne, e la figlia di 41 anni la vita non fu più la stessa dal 6 aprile 2015. Da quel giorno vivono in un dolore mai metabolizzato.

«Morta senza dignità»

«Mia madre è morta senza dignità e in uno stato di abbandono – ricorda la figlia – . È inconcepibile morire in questo modo in un luogo dove si dovrebbe essere curati e salvati. Quando andavo a trovarla spesso mi capitava di doverla coprire perché veniva lasciata nuda e legata mani e piedi al letto. Ma non è solo questa scarsa attenzione a una persona che in un ospedale dovrebbe essere curata e accudita. Fino all’ultimo nessuno ci ha mai detto che stava peggiorando. Dal 2 aprile al giorno della morte si era aggravata. Percepivo che stava male, anche se non parlava. Alle del 4 mattino ci telefonarono per dirci che l’avrebbero spostata di reparto. Scoprimmo poi che era andata in arresto cardiaco per due volte. Ci hanno sempre tenuto nascoste le sue condizioni». La fine repentina della paziente non era prevista dai familiari che, anzi, speravano in un recupero dopo la choc dell’aneurisma. «Mi ricorderò sempre il suo ultimo sguardo – prosegue la figlia – . Dopo averla abbracciata la salutai: “Ci vediamo domani”, ma i suoi occhi sembrarono dirmi: “Non credo”. Aveva capito che sarebbe morta».

La consulenza tecnica

A suggerire un accordo tra Aoup e familiari, per evitare sentenze onerose a carico dell’Azienda ospedaliera, è stato l’esito della consulenza tecnica disposta dal Tribunale. Si legge: «Risulta evidente un rapporto causale tra l’inserimento del Picc (catetere venoso, ndr) nella vena omerale destra e l’infezione che evolse in shock settico; dell’avvenuta corretta procedura di inserimento sterile del catetere non esiste, purtroppo, memoria alcuna». L’infezione era entrata nel corpo della donna ormai esposto a una setticemia dall’epilogo fatale.

Il ritardo nella terapia

Gli antibiotici non arrivarono subito. Di qui la considerazione finale della Ctu: «Evidente ritardo di trattamento della sepsi, che progredì inevitabilmente in uno shock settico a prognosi infausta». Infettata da un catetere non sterile e non curata subito con gli antibiotici. Così è morta in ospedale una mamma e una moglie di 57 anni.


 

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