Il Tirreno

La storia

«Io, marinaio elbano del Garibaldi negli Usa durante la crisi di Cuba»

di Stefano Bramanti
«Io, marinaio elbano del Garibaldi negli Usa durante la crisi di Cuba»

Renzo Pregnolato, oggi 82enne, racconta l’avventura a bordo dell’incrociatore che nell’ottobre del ‘62 fu fermato in Florida per lo scontro tra Kennedy e Krusciov

26 febbraio 2023
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Approdarono nel 1962 sulla costa americana con l’incrociatore lanciamissili Garibaldi. Tappe in Virginia e Florida. Poi a New York dove visitarono il palazzo della Nato e accolsero a bordo tanti emigrati italiani che finirono tutte le scorte di spaghetti. I militari della Marina italiana erano impegnati in una missione di rappresentanza ed esercitazioni. Del tutto ignari che in quelle ore sarebbe potuta scoppiare la terza guerra mondiale, con John Fitzgerald Kennedy e Nikità Krusciov impegnati in un rischioso braccio di ferro riguardante l’isola di Cuba. Tra i 750 militari di quella che all’epoca era l’ammiraglia della Marina, vi era anche un elbano: Renzo Pregnolato. «In quell’anno ero sulla Garibaldi con centinaia di commilitoni, sottufficiali e ufficiali – racconta al Tirreno –. Partimmo da La Spezia il 3 settembre, per attraversare l’Atlantico e raggiungere gli Usa».

Pregnolato, oggi 82enne, a quei tempi era arruolato come radiotelegrafista. Un ruolo garantitogli dalla formazione nella caserma della Marina Militare delle Ghiaie. «Ero a bordo con l’orgoglio di essere elbano – dice l’ex falegname, che si congedò nel 1964, dopo 25 mesi di naia, col grado di sottocapo –. Diversi ufficiali mi chiedevano dell’Elba, essendoci stati in servizio anni prima. Ricordavano la bellezza del luogo, la natura rigogliosa, le fortezze medicee, il porto a forma di u, la trattoria Libertaria e personaggi della vita elbana, compreso il nostro grande tenore Renato Cioni, che duettava con la celebre soprano Maria Callas, sposato all’affascinante Loretta Marianelli».

«La prima tappa del viaggio fu Gibilterra – prosegue Pregnolato –. Sbarcai forte anche delle tre sterline inglesi che mi dettero, equivalenti a 5.800 lire dell’epoca, praticamente lo stipendio di un mese. Quando arrivammo in America lo stipendio crebbe fino a 30 dollari mensili pari a 19mila lire, così riuscii ad accumulare un bel po’ di soldi». De consideriamo che i militari erano 750, la missione fu alquanto costosa, già solo per le paghe, e c’è un’altra curiosità l’incrociatore Garibaldi, nel 1978, fu messo in disarmo per i suoi elevati costi.

«Altra sosta di rifornimento avvenne alle Azzorre – ricorda l’82enne – e dopo altri cinque giorni di navigazione arrivammo alla costa americana, in Virginia, alla base navale di North Folk. Vi rimanemmo venti giorni. Il nostro giovane ufficiale ci condusse in vari ambienti americani: fu un piacevole turismo. Nella notte, a bordo, negli spostamenti, feci più volte la guardia con binocoli ad infrarossi, per avvistare eventuali minacce. Ma non ci fu mai nessun per. In ottobre si giunse in Florida, ma lì fummo bloccati senza poter raggiungere l’isola di Portorico, nel mare dei Caraibi, senza sapere il perché».

Era in corso la crisi dei missili di Cuba, ma Pregnolato e gli altri marinai del Garibaldi ne erano all’oscuro. Nessuno riferiva loro che lo stop era dovuto alla crisi mondiale che si era innescata. I problemi erano cominciati nel 1961: Kennedy, neo presidente, tentò l’invasione di Cuba con il fallito sbarco nella baia dei Porci e dovette concedere ai sovietici una base nell’isola, che diventò una base missilistica nucleare. Una minaccia per gli Stati Uniti. Kennedy reagì. Furono giorni di tensione tra Usa e Urss che però si risolse grazie alla volontà di pace: si volle evitare la terza guerra mondiale. Kennedy e Krusciov si accordarono. I sovietici smantellarono le armi offensive a Cuba e gli Stati Uniti d’America dichiararono di non tentare mai più l’invasione di Cuba.

Pregnolato e gli altri militari non seppero nulla di tutto ciò e riuscirono a raggiungere Portorico solo il 29 ottobre. Qui furono impegnati in un’esercitazione di lancio di missili con bersagli in movimento a pilota automatico. «Furono 25 giorni di esercitazioni – racconta – e il 23 novembre tornammo sulla costa americana a Philadelphia. Il 29 partecipammo alla festa del ringraziamento e mi ritrovai invitato in un circolo italiano a mangiare il famoso tacchino ripieno. Il relax proseguì e il 1° dicembre fummo a New York per dieci giorni. Iniziarono allora le visite a bordo con tanti italiani immigrati negli Usa, che vennero a trovarci. Feste, tanti abbracci e pranzi a base di spaghetti. I nostri connazionali ne mangiarono così tanti che finirono le scorte. Facemmo anche un’interessante visita al Palazzo delle Nazioni Unite. Un clima di vacanza al top. Ma l’11 dicembre giunse il momento di ritornare in Italia».

«Dopo altre tappe di rifornimento alle Bermuda – conclude l’82enne –, attraversammo l’Atlantico con uno stop all’isola di Madeira in Portogallo, per poi rientrare nel Mediterraneo e raggiungere il 23 dicembre La Spezia, in ritardo di 13 ore per una forte sciroccata. A quel punto licenza fino al Natale per coloro che abitavano molto lontano, mentre io dovetti rimanere a bordo, e ci rimasi altri quattro mesi. Infine fui assegnato all’Accademia navale di Livorno, per finire il mio servizio militare». Ricordi indelebili di gioventù che si intrecciano con la storia.  

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