Il Tirreno

La storia

Dopo l’appello dei genitori, Rasetto: «La giovane paziente oncologica sarà curata a casa come richiesto»

di Giuseppe Boi
Dopo l’appello dei genitori, Rasetto: «La giovane paziente oncologica sarà curata a casa come richiesto»

Intervista a Claudio Rasetto, nuovo responsabile delle cure palliative all’Elba

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PORTOFERRAIO.  «Ho incontrato e visitato la ragazza e la sua famiglia ieri (venerdì, ndr). Così come ho già parlato con il suo medico di famiglia. Il percorso per le cure palliative è attivato. Non so perché la famiglia ha inviato la lettera di protesta. Non posso rispondere di ciò che è successo in passato. Sto prendendo servizio all’Elba in questi giorni. Rispondo della mia professionalità e di quello che farò, non solo per questa paziente ma per tutti i pazienti elbani». A parlare è Claudio Rasetto, 62 anni, medico specializzato in anestesia e rianimazione, da poco responsabile dell’unità funzionale di cure palliative della zona dell’Elba. Ha cominciato a prendere contato con l’isola in estate e ha assunto l’incarico solo da poche settimane. Un lasso di tempo breve che però lo ha subito messo davanti a un caso “scottante”: quello dell’adolescente seguita dal reparto di oncologia della struttura Asl locale i cui genitori hanno lanciato un appello alla sanità regionale ed elbana affinché le siano somministrate le cure palliative nella sua casa.

Cosa è successo? Come state gestendo questa paziente molto particolare?

«Il nostro obiettivo è rendere qualitativamente dignitoso il dolore globale. Vale a dire sia quello fisico sia quello morale che deve affrontare un paziente che affronta l’ultimo periodo della sua vita. Non so il perché della lettera dei genitori della ragazza. E, sinceramente, ho poco interesse a saperlo. Io ci sono e ho preso in carico la situazione. Ho visitato l’adolescente e parlato con la famiglia e il suo medico di base. Sarà curata a casa come hanno chiesto lei e la famiglia. Sanno chi sono e hanno a disposizione tutta la mia attenzione e quella dell’unità che dirigo. Sono un medico, non un politico. Rispondo della mia professionalità e la metto a disposizione dei pazienti».

Questo anche se all’Elba non esiste un’unità dedicata alla pediatria?

«Su questo aspetto si è creata una grande e inutile confusione. Non esiste un percorso di cure palliative pediatriche. Il trattamento somministrato ai bambini al Gaslini o al Mayer è lo stesso che si offre a un adulto in qualsiasi ospedale. Insomma, non è pediatrica la cura, ma la struttura che la somministra».

Quindi non servono altre figure specialistiche.

«Ripeto l’iter è lo stesso per un adulto e per un bambino. Aggiungo però una cosa: purtroppo nella mia vita professionale ho dovuto già affrontare il fine vita di un bambino o di un giovanissimo. E non solo qui in Italia, dove per nostra fortuna la mortalità infantile è praticamente scomparsa, ma in posti come l’Africa dove è invece una normalità. Quando ero in Kenya, in un ospedale dei Camilliani, ho curato tanti bimbi e in tanti casi gli ho accompagnati nell’ultimo periodo della loro vita».

Come opera l’unità funzionale di cure palliative?

«È una squadra in cui sono integrate diverse figure e competenze. Ci sono i medici e gli infermieri che si occupano dei bisogni assistenziali. C’è uno psicologo e stiamo aggiungendo un’assistenza spirituale a 360 gradi, sia per i pazienti cattolici, sia per quelli di altre religioni. Ha poi un ruolo chiave il medico di base, con cui l’unità ha un continuo confronto. Così come è decisivo il ruolo delle associazioni di volontariato. La stessa famiglia del paziente fa parte del team».

Perché?

«Noi trasferiamo un pezzo di sanità nelle loro case, ma non entriamo certo a gamba tesa nelle loro vite. E i famigliari possono essere chiamati ad avere dei compiti nell’assistenza. In passato ho seguito un paziente che viveva in Appennino e spesso la sua casa era irraggiungibile per la neve. I figli erano stati addestrati per somministrare, su nostra indicazione, determinati farmaci. Ma non è tutto: noi forniamo ai paziente e alle famiglie ciò che ci chiedono. La letteratura scientifica e la stessa legge, la 38 del 2010 (sulle cure palliative e terapie del dolore, ndr) e la 219 del 2017 (quella sul biotestamento, ndr), ruotano attorno alla libera scelta del malato o di chi lo rappresenta».

Che situazione ha trovato all’Elba?

«Mi sono già confrontato con alcuni medici di base e lavorato con una dozzina di infermieri. Ho incontrato associazioni di volontariato come “Cure palliative Elba”e “Diversamente sani”. Il mio compito è riorganizzare tutto il servizio dopo la pandemia e informatizzare il servizio. Sto mettendo a disposizione tutta la mia esperienza per dare un’organizzazione all’unità».


 

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