Il Tirreno

«Siamo sconvolti, c’è poco da dire...»

di Francesca Lenzi
«Siamo sconvolti, c’è poco da dire...»

Incredulità e preoccupazione tra pazienti, dipendenti e medici dell’ospedale: «Ma non parliamo di malasanità»

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PIOMBINO. Incredulità, preoccupazione, ma anche nessuna intenzione di generalizzare. È un clima surreale quello che si respira all’ospedale di Villamarina il giorno dopo la notizia dell’arresto di Fausta Bonino, infermiera professionale finita in carcere con l’accusa di aver ucciso 13 pazienti tra il 2014 e il 2015 nel reparto di anestesia e rianimazione piombinese.

È passato da poco mezzogiorno e l’ospedale è pressoché deserto. L’atmosfera che si percepisce è però chiara, ed emerge bene dalle parole di chi attraversa quei corridoi: pazienti, familiari, medici, dipendenti. «Cosa si può pensare di una storia del genere? - si domandano le sorelle Lucca, di Marina di Campo, all’ospedale di Piombino per assistere il padre che deve subire un intervento - Nessuno può pensare che la morte ti arrivi proprio da quelle persone che dovrebbero invece salvarti la vita. Tra l’altro noi conoscevamo una delle vittime, Terside Miliani, nostro compaesano. Quando morì nessuno poteva immaginarsi questa roba. Aveva già una certa età, e si pensò a una morte naturale».

«È importante tuttavia non fare di tutta l’erba un fascio - continuano le due elbane - E se la storia sconcerta, dopo un fatto simile ci si aspetta anche maggiore attenzione da parte di chi ha il dovere di vigilare. E poi non è mica la prima volta che accade una cosa del genere; è successo anche in altre parti d'Italia, e non solo».

«Il problema è che hanno chiuso i manicomi e i matti sono a giro ora», sono le prime parole, venate di amara ironia, dei coniugi Pontanari, arrivati da Donoratico a Piombino per una tac con mezzo di contrasto. «Stamattina siamo partiti con una certa preoccupazione - racconta la donna - Ho detto a mio marito: speriamo che non sbaglino a iniettarti il liquido sbagliato. Si cerca di sdrammatizzare, ma in realtà siamo sconvolti come tutti dalla notizia. Anch’io in passato sono stata ricoverata in un reparto di rianimazione, e fa un certo effetto a pensarci, anche perché poteva accadere ovunque. L’unica speranza adesso è che si faccia più attenzione e si vigili maggiormente».

Sono invece piombinesi, ma altrettanto disorientati, Luana Morandi e Marino Rinaldi, marito e moglie. «Trovo incredibile – dice Luana – che nessuno possa essersi accorto della mancanza di quel medicinale usato. Mia figlia ha lavorato in una comunità di recupero e, tra i vari compiti che aveva, c’era quello di fare un inventario giornaliero dei medicinali presenti». «Comunque questa faccenda non ha nulla a che vedere con la malasanità», interviene il marito. «Sicuramente – riprende Luana – È importante non generalizzare. Già troppi parlavano male dell’ospedale di Piombino anche prima di questa storia, quando invece è una fortuna che ci sia. La maggior parte degli operatori che vi lavorano lo fanno perfettamente, e ogni volta che ne ho avuto bisogno, io mi sono trovata bene».

Da giovedì mattina l’argomento più discusso all’interno dell’ospedale piombinese è ovviamente quello dell’infermiera. «Il clima che si respira è surreale – dicono i dipendenti del bar a piano terra all’interno dell’ospedale – Sono quelle cose che non ti aspetteresti mai, soprattutto nella tua città. La gente ne parla, è chiaro, anche i colleghi della donna accusata, che però tendono a difenderla, increduli che possa aver commesso quegli orribili crimini. Se la conosciamo? Beh, ogni tanto passava al bar per un caffè, ma non così spesso».

A essere sconcertati sono quindi anche i medici e i colleghi di Fausta Bonino, sui quali incombe adesso l’attenzione di tutta Italia, e non solo. «Non sono sicuro di aver capito chi sia, ma se fosse quella che penso, mi accodo a chi parla di una persona e di un’infermiera all’apparenza del tutto normale – afferma Saverio Caggiati, oculista – Nessuno qui dentro avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere. Siamo esterrefatti e dispiaciuti». «Anch’io, non lavorando nello stesso reparto, non la conosco - dice Maurizio Carloni, urologo - La paura è che adesso ci sia ancora più sfiducia nell’ambiente ospedaliero rispetto a quanta già ce n’era. L’importante è non generalizzare. Il 99,9% delle persone che lavorano qui dentro lo fa seriamente e con dedizione». «Senza dubbio non è una storia che fa bene al sistema sanitario, ma non parliamo di un errore medico – riprende Caggiati – Qui parliamo, almeno da quanto emerso finora, della volontà singola di una persona».

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