Massa, barista molestata con quotidiane allusioni sessuali: collega condannato a risarcirla
Il Tribunale ha riconosciuto danni morali per 25mila euro. Responsabile anche la titolare che sapeva, ma non è intervenuta
MASSA. Quando entrava al lavoro non le dava il buongiorno. Le chiedeva di praticargli sesso orale. Era solo l’inizio. Durante la giornata poteva capitare che le facesse vedere foto e video in cui lui era in intimità con altre donne. Anche quando c’erano i clienti i commenti sulla vita privata della barista diventavano battute grevi e fonte di imbarazzo per la giovane. Lui era il fratello della socia di una società proprietaria di un bar a Massa. Lei una dipendente, separata, con due figli da mantenere. Per quattro anni è andata avanti. Poi è stata licenziata e ha impugnato il provvedimento. Ma è andata oltre: ha citato il molestatore verbale e la società per mobbing, invocando una differenza retributiva da incassare e danni morali per gli approcci sessuali. Non solo. Ha messo a verbale di soldi in nero e contabilità parallela.
Il giudice del Tribunale di Massa ha escluso il mobbing, ma ha riconosciuto la differenza retributiva per poco più di mille euro e i danni morali. Un conto di 25mila euro a carico dell’uomo, da pagare in solido con la legale rappresentante della società. Era a conoscenza dei comportamenti volgari, non solo verso la giovane che poi ha fatto causa, e non fece niente per farli cessare. «Lasciate perdere, non voglio compromettere un’amicizia che dura da vent’anni» aveva risposto riferendosi alla sorella dell’uomo, socia dell’azienda. Per il “nero” il giudice ha trasmesso gli atti del processo civile al nucleo della polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Massa per gli opportuni accertamenti. Il periodo esaminato in Tribunale (giudice Rossella Soffio) va dal giugno 2017 allo stesso mese del 2021. Per ricostruire i contesti in cui sarebbero avvenuti gli episodi sono stati sentiti diversi testimoni. Lui, il collega condannato, non solo ha respinto ogni accusa, ma ha anche minacciato di querelare per calunnia l’ex dipendente. Non è stato creduto. Il racconto della donna e quelli delle colleghe non hanno avuto margini di interpretazione. Non sono sfumature equivocabili le frasi pronunciate dal fratello della titolare quando chiedeva alla dipendente «di avere un rapporto orale. Io non ho risposto nulla, sono uscita dal camioncino e sono andata a pulire i tavoli». E ancora: «Una mattina ho visto che mostrava alla mia collega una foto sul suo cellulare che lo ritraeva all’atto di compiere un rapporto sessuale con una donna: preciso che in quel momento ha chiamato anche me dicendomi “vieni a vedere” e mi ha mostrato la stessa foto; a questo punto mi sono allontanata senza proferire parole. Succedeva anche che tutti i giorni, più volte al giorno, di fronte agli avventori che venivano a consumare qualcosa ci appellasse con l’espressione “t….a”: a me una volta disse “eccola qui con le treccine pronta ad essere cavalcata”. Anche queste cose le ho dette all’amministratrice senza che, però, ci fosse alcuna reazione da parte sua». Un pressing pesante con continue allusioni alla vita sessuale della barista espresse anche di fronte ai clienti. Per il Tribunale gli episodi sono rimproverabili, ma soprattutto «odiosi se si tiene presente la situazione di soggezione nella quale la medesima veniva ad operare, trattandosi di madre separata con due bambine a carico, in tenera età (“preciso che io all'epoca avevo trent'anni e avevo bisogno di lavorare perché avevo due bambine di sei e quattro anni mi ero separata da mio marito, non mi potevo permettere di non lavorare per nulla” ) spinta comunque dal bisogno di mantenere se stessa e le figlie e trovandosi pertanto nella necessità di dover sopportare tali comportamenti non potendosi permettere di perdere lo stipendio». Una collega ha ricordato di averlo sentito dire a proposito della barista: «Mi sembri una t…a, ieri sera ci hai dato dentro, ma come sei venuta vestita”. Ho visto la ricorrente piangere dopo essere stata trattata in questo modo».Fatti del tutto simili sono stati raccontati anche da un cliente: «Facevo la pausa pranzo nel bar del gabbiotto. Penso che sia stato il proprietario del bar o almeno così diceva lui. Quando sono andato a prendere il caffè ho sentito che si rivolgeva alle ragazze chiedendo loro se potessero fargli dei servizi di sesso orale. Parecchie volte l'ho sentito dire alle ragazze che lì dentro comandava lui e che loro dovevano fare come diceva lui. Insisteva nel dire che le ragazze avrebbero dovuto fargli delle prestazioni sessuali perché lui era il capo». La sintesi del procedimento sul fronte delle molestie sessuali è che «l'insieme delle condotte moleste consente di ritenere certamente sussistente un danno morale con conseguenze psicologiche»l