Il Tirreno

L’intervista

Alex Theory, il re della palestre che fattura 10 milioni: «Guadagno 1.300 euro come i miei dipendenti, sono stalinista e a 16 anni mi è cambiata la vita»

di Melania Carnevali

	Alessandro Olivieri
Alessandro Olivieri

Nato nel 1992 a Massa, è il numero uno della Theory Holding Spa, che conta 170 collaboratori divisi tra la Toscana e la Liguria. In sei anni la società ha aperto 21 palestre. «Uomini e donne? Non sono uguali. E ora sbarco in borsa»

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MASSA. L’ufficio è un salone enorme. Ci sono decine di scrivanie parallele rivolte tutte verso la stessa direzione, che è un palco da cui partono spesso messaggi incoraggianti. Davanti ai monitor, ci sono giovani, tutti ragazzi, tutti vestiti rigorosamente di nero, scarpe, pantaloni, camicia. Qualcuno ha anche la cravatta. Sono i manager.

Sono passate da poco le 7,30 di sera quando suona una campana e scatta un applauso. «I ragazzi hanno degli obiettivi settimanali o anche giornalieri e quando li raggiungono suonano la campana che è una forma di condivisione del successo», spiega Alessandro Olivieri, o Alex Theory come lo conoscono tutti, giovane imprenditore massese (classe 1992), presidente della Theory Holding spa, l’azienda apuana da oltre dieci milioni di euro di fatturato (raggiunto in cinque anni) che ha messo su un impero tra gallette e food artigianale, palestre low cost, scuole di formazione e marketing. Il quartiere generale è al terzo piano dell’Olidor. Uno spazio immenso con le vetrate da cui si vedono anche le Alpi Apuane. Nata nel 2019 con l’apertura di una palestra in via Carducci, a Massa, la Theory Holding è adesso una mega azienda con 170 collaboratori divisi tra la Toscana e la Liguria. In sei anni la società ha aperto 21 palestre, l’ultima a Monsumanno. La maggior parte in provincia di Massa e Carrara.

Le altre si trovano Lucca, La Spezia e Livorno, dove la società ha aperto la palestra più grande di Italia in un fondo di circa 4mila metri quadrati. Sono in programma altre aperture nei prossimi mesi a Prato, Lucca, Montecatini, Cascina, Pontedera e Pisa Ospedaletto. C’è poi il settore del food nato durante il Covid come alternativa alla chiusura degli impianti sportivi: oltre alle gallette, produce burro di arachidi, energy drink e integratori alimentari. Da ultimo sono nati Impossible university, Impossibile agency e la Rocket consulting.

Partiamo dall’outfit. Perché tutti vestiti di nero?

«Perché contano i risultati, non i vestiti o l’aspetto esteriore. Come all’asilo, non si deve vedere la differenza tra chi è ricco e chi è povero. Poi uno arriva alle superiori e si vedono le differenze e non è bello. Qui abbiamo sia figli di industriali sia ragazzi che vengono dal nulla, che sono la maggior parte, ma tra loro non si nota chi è chi».

Anche molti regimi autoritari, come quelli fascisti o comunisti, incoraggiavano o addirittura imponevano l'uso di uniformi...

«Se vogliamo fare un paragone, sono sicuramente più stalinista che di destra. Il punto è che i regimi sono una degenerazione della voglia di crescita di uno Stato. La crescita non è sbagliata. È la via che si intraprende per ottenerla che è sbagliata. Qui, ad esempio, vige la regola del ripudio della violenza. Chi ha un comportamento violento, viene allontanato. Poi, un’altra regola fondamentale è la trasparenza, perché abbiamo fondato tutto sulla meritocrazia e, se manca la trasparenza, non c’è modo di controllarla. Noi, visti da fuori, sembriamo un posto di persone dure, senza scrupoli. Invece c’è più giustizia in un percorso meritocratico che in aziende dove si lavano la bocca con concetti altisonanti ma dove poi la maggioranza si tiene tutto».

E qui invece come funziona?

«Io sono partito da solo e ora ci sono quindici ragazzi che sono soci. Sono all’80%, a fine anno scenderò al 75%, in dieci arriverò al 35% e poi al 20%. L’idea è che, chi se lo merita, si prende una fetta dell’azienda. In base meritocratica diamo anche vitto e alloggio. Poi ho organizzato questa sede come una coworkeria dove i ragazzi possono stare quanto vogliono e portare chi vogliono. Possono lavorarci e rimanerci a studiare: tutti hanno le chiavi. Se vogliono un libro, glielo compra l’azienda, perché studiare è fondamentale. Io passo buona parte del mio tempo a studiare».

Ha un modello a cui si è ispirato?

«Sì, è una sorta di Sillicon Valley, un ambiente stimolante e competitivo dove tutti si dividono la torta. Io, per dire, potevo tenermi la casa che avevo tutta per me e invece ho deciso di dividerla con i miei manager. Se noi sei pronto a condividere le scomodità non potrai mai chiedere a chi lavora per te di evitare stipendi da cinquemila o settemila euro in ottica di guardare al futuro. Per ottenere risultati bisogna fare sacrifici».

Perché quanto guadagnano i suoi collaboratori?

«Guadagnano tutti 1.300 euro. Anche io prendo 1.300 euro».

Più i ricavi.

«I ricavi vengono tutti reinvestiti. Per me è centrale reinvestire il più possibile. Lavoriamo con le banche ma in modo limitato perché il settore del fitness non riceve facilmente finanziamenti. Ci paghiamo tutti uguale perché è un modo di condividere un percorso. Non posso chiedere a un altro di fare sacrificio se io non lo faccio».

Tra chi si divide la torta, qui, però non ci sono donne...

«Ci sono due o tre donne in posti importanti, ma per le donne non è facile essere attratte da settori dove c è la meritocrazia. Le donne vanno decisamente meglio nei settori legati alla cura delle persone e nel commerciale. Io non credo che donne e uomini siano uguali. Sono diversi e ognuno ha la propria dote. Una ragazza brillante al pubblico può ottenere risultati impressionanti che io non riuscirei mai a ottenere. Anche la contabilità la cura una ragazza. A me non interessa se sei uomo o donna, mi interessano solo le tue capacità e il rispetto che porti agli iscritti e ai colleghi. Consentiamo a tutti di fare carriera ed è bello vedergliela fare. È bello vedere giovani così maturi. Ci sono persone che non diventano mai adulte e non si prendono mai le responsabilità. Io sono dovuto diventare adulto presto. Ho vissuto un infarto di mio babbo quando avevo quindici anni. Lo avevo in braccio. Si è salvato solo perché non gli ho dato retta: lui diceva di avere solo mal di pancia ma io chiamai comunque il 118. Questo ti dice che a 16 anni non sei più giovane ma che ti devi prenderti responsabilità. L’età media qui non supera i 30 anni e sono tutti ragazzi responsabili».

L’azienda, in questo anno solare, fatturerà 10milioni di euro. Qual è il core business?

«È il servizio alle imprese. Le palestre fatturano di più, ma l’altro settore ha prospettive di sviluppo più forte. La nostra storia dimostra che si può crescere e fare cose fuori dall’ordinario anche nelle piccole province. Il nostro percorso è lo stesso fatto da Bending Spoons (azienda sviluppatrice di applicazioni per dispositivi mobili fondata a Copenhagen e con sede a Milano, ndr), cioè quello di muoverci in più settori».

E c’è un altro settore in cui state pensando di entrare?

«Sì, quello della ristorazione potrebbe essere uno. Però bisogna capire se funziona. Un imprenditore deve sapere quando sta facendo un business sufficiente, altrimenti stai dando un altro benzinaio e nessuno fa la fila dal benzinaio. Quando un business è buono, cresce ma con grande fatica. Passa da buono a ottimo quando riesci a partire più velocemente e ad arrivare a più aperture contemporaneamente, quando c’è la fila perché la gente non aspetta altro che l’apertura. Adesso, il nostro obiettivo, è arrivare a quotare le prime controllate in borsa. Non avrebbe senso quotare tutto insieme perché la borsa ama cosa specifiche. Quindi partiremo con le prime partecipate». 

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