Carrara, Avenza ricorda “Zio Marco” e il suo spirito libero: «Una città incapace di tendere una mano»
Diventa un caso politico la tragedia del 64enne senza fissa dimora. La vicesindaca: «Strumentalizzano, era una brava persona e rifiutava ogni aiuto oltre al cibo»
CARRARA. Ha commosso la città la storia di Marco, 64 anni, origini sarde e una vita di strada per scelta, trovato senza vita all’alba di mercoledì sotto i portici del Distretto sanitario di via Giovan Pietro. La prima a raccontare la sua storia – e a dare finanche la notizia della scomparsa perché ci sono morti più silenziose di altre – è stata Michela Pinelli, avenzina del comitato “spontaneo” Avenza R-Esiste. Intanto la tragedia diventa un caso “politico”. Pinelli ha mosso accuse alla giunta della sindaca Serena Arrighi: «La realtà racconta di un’Amministrazione comunale sorda e distante, incapace di tendere una mano». Il consigliere comunale del Gruppo misto Massimiliano Bernardi ha presentato un’interrogazione nel consiglio comunale di giovedì. Ora c’è una risposta della vicesindaca con delega al settore sociale Roberta Crudeli.
Il cane e la musica rock
Dopo Pinelli è Anna Ferrandi, avenzina, a raccontare chi era Marco, che aveva un cognome che nessuno ricorda ma che – tra la Coop e via Giovan Pietro – era una presenza, da 15 anni a questa parte, che in molti non possono dimenticare. Stava nei pressi della CarraraCarni, la macelleria sul retro della Coop, Marco. «Non chiedeva nulla, ma se gli davi qualcosa, lo accettava – racconta l’amica Anna – La CarraraCarni, la pasta fresca di Giancarlo Rosolini e tanti avenzini l’hanno sempre aiutato». Aveva un cane, un incrocio con un pastore maremmano, che teneva da cinque mesi dopo aver perso tempo fa un altro quattrozampe. Amava ascoltare il rock con una radiolina. «Qui gli volevano tutti bene, compresi i medici del Distretto Asl che hanno fatto di tutto per lui e che Avenza ringrazia»; negli ultimi tempi non stava bene, «aveva perso l’appetito e diceva che a 64 anni la vita di strada iniziava a pesargli».
L’ultimo saluto
È martedì, sono le 8, 15 quando lo vede per l’ultima volta: «Stavo andando dal veterinario, lui mi ha chiamata, “Annaaa”, come faceva sempre, e gli ho detto che ci saremo visti nel pomeriggio: volevo andare a tenergli compagnia, ma pioveva: non sono uscita». Poi la mattina dopo, arriva – tramite un’amica – la notizia della tragedia. Si commuove Anna al pensiero di “Zio Marco”, ad Avenza lo chiamavano così: «Era una brava persona, con una vita difficile alle spalle».
Il passato
«Da giovanissimo aveva fatto il pescatore con il padre, raccontava, e dopo aveva addestrato cani. Se ne andò dalla Sardegna, era uno spirito libero, aveva girato l’ Italia per poi approdare in Toscana: d’estate stava a Rosignano, il resto del tempo lo passava qui, gli piaceva la vicinanza con il mare, gli ricordava la Sardegna». Ad Avenza si dice che i figli giungeranno al più presto. E del cane di Marco se ne sta occupando un avenzino.
L’interrogazione
Le morti ravvicinate di due clochard, entrambe ad Avenza – la prima negli ex locali Cat – lascia un’eco doloroso in una comunità che non ha perso l’empatia per l’umana sofferenza. “Compatta” questo tribolato sentire il consigliere Bernardi in un’accorata interrogazione in cui, raccontata la storia di Marco, chiede alla giunta: quanti clochard siano ospitati da Casa Betania e quanto è stato elargito all’associazione per il servizio; quante persone senza fissa dimora sono in carico ai servizi sociali; chiede poi il punt di quali siano i progetti di inserimento negli alloggi, quelli in essere e quelli in realizzazione.
Qui la giunta
Intanto l’assessora Crudeli respinge «con forza i tentativi di chi – dice – vorrebbe strumentalizzare la morte di una persona la cui scomparsa ha scosso la collettività avenzina. Era una persona benvoluta, dispiace leggere interventi di chi non conosce la sua storia e si presta a ricostruzioni tendenziose per il solo scopo di attaccare l’Amministrazione. Era una persona che aveva liberamente scelto di vivere in strada da più di 20 anni e aveva sempre rifiutato qualsiasi tipo di aiuto che andasse oltre il cibo. Tutti i progetti di aiuto presuppongono che il cittadino accetti l’intervento».