Carrara, la sentenza del Tar: quel residuo di cava è un rifiuto
Respinto il ricorso della Sam del 2018 che contestava il Comune e l’Arpat
Carrara Il Tar ha respinto il ricorso della Sam, Società Apuana Marmi srl (avvocati Luigi Guccinelli e Luca Lattanzi), contro il Comune di Carrara (avvocati Sonia Fantoni e Lucia Ferraro) e l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Toscana (avvocato Michela Simongini). Il ricorso risale al 2018, e si chiedeva l'annullamento della determinazione n. 74 emessa dal Dirigente del Settore Servizi Ambientali/Marmo del Comune di Carrara, del 1° giugno di quell’anno, che aveva come oggetto “autorizzazione attività estrattiva piano di coltivazione cava n. 94 “Valbona B” Bacino n. 3 Miseglia - Società Apuana Marmi srl”, nella parte in cui adotta la prescrizione contenuta nel parere reso da Arpat, Dipartimento di Massa e Carrara in data 22.05.2018 per cui “il residuo della lavorazione della pietra Cer 010413 proveniente dal taglio a catena, essendo contaminato da grasso, è un rifiuto e come tale deve essere allontanato e gestito”. Secondo il Tar il ricorso è infondato. Si ricorda, nella sentenza, che la Sam sostiene che la prescrizione non avrebbe fondamento giuridico, in quanto il residuo della lavorazione preso in considerazione sarebbe un derivato da materiale da taglio rientrante nell’attività estrattiva primaria (consistente nei “tagli a monte” e “riquadratura” dei blocchi) e sarebbero esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina rifiuti; inoltre, si lamenta carenza di istruttoria sia da parte del Comune (che avrebbe acriticamente accolto il parere tecnico dell’Agenzia) che dell’Arpat, la quale non avrebbe supportato il proprio parere con dati analitici, in modo da consentire alla ricorrente di poter controdedurre in sede procedimentale ed evidenziare che nei propri processi di taglio utilizza grassi lubrificanti a base vegetale (e non minerale) in una percentuale trascurabile (in ordine di un chilogrammo per tonnellata di marmo, una incidenza di contaminazione pari allo 0,0009413% sul materiale solido asportato, come risulta dal Piano di Gestione della Cava presentato in sede di conferenza di servizi). Ma, ribadisce il Tar, «Le doglianze non persuadono. In primo luogo non vi sono i presupposti per escludere in maniera certa che il materiale di cui si controverte non possa essere qualificato come rifiuto. Non solo: «È lo stesso Piano di gestione dei derivati dai materiali di taglio presentato in conferenza di servizi dalla ricorrente ad evidenziare che lo sfrido della tagliatrice a catena da riquadratura debba essere trattato come rifiuto (Cer 010413) laddove non destinato a diverso utilizzo. Non persuadono quindi le argomentazioni della ricorrente volte a qualificare i residui di lavorazione di cui si controverte come prodotto». «Come evidenziato dalla difesa della Arpat e non contraddetto dalla ricorrente, quest’ultima non ha fornito alcuna dimostrazione né delle destinazioni del materiale di cui si controverte, né del fatto che quest’ultimo possegga le caratteristiche di sottoprodotto».
Ricorso infondato e respinto, ma le spese di lite possono essere compensate in ragione della complessità della materia.l
M.B.