Lutto per Carlo Morelli, ma le segherie rimangono aperte, "Gli imprenditori non hanno più rispetto"

Melania Carnevali
La moglie di Carlo Morelli abbraccia il feretro
La moglie di Carlo Morelli abbraccia il feretro

La rabbia dei sindacalisti per la mancata adesione allo sciopero da parte delle segherie del marmo. Gozzani: "Con la crisi è aumentata la paura dei licenziamenti"

14 maggio 2016
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MASSA-CARRARA «Vedere le segherie lavorare nel giorno del lutto detona una regressione valoriale della civiltà, un decadimento culturale». Paolo Gozzani, segretario provinciale della Cgil commenta con amarezza lo sciopero indetto dai sindacati  in occasione dei funerali di Carlo Morelli, l’operaio morto schiacciato sotto le lastre di marmo nella segheria Coseluc dove lavorava. Otto ore per il marmo, quattro per le altre categorie. Perché il sesto morto sul lavoro in nove mesi riguarda un po’ tutti.

Eppure qualcosa stonava mercoledì. Stonava il rumore delle macchine da taglio nella zona industriale, stonavano i carroponti che si muovevano per spostare le lastre appena lucidate, e i camion che andavano e venivano per prendere i prodotti finiti e spedirli nei mercati esteri. Perché tutto è continuato come in una giornata normale in quella zona. Quasi tutte le segherie sono rimaste aperte, come se nessuno fosse morto due giorni prima sotto le lastre di marmo. «È mancato completamente il rispetto - accusa Francesco Fulignani della Feneal-Uil - Gli imprenditori hanno completamente mancato di rispetto - ripete - Anche la mattina stessa dell’incidente hanno continuato a lavorare come se nulla fosse».

Come sembra lontano il 1998, anno in cui morirono sotto una frana sul monte Bettogli due cavatori poco più che ventenni, Francesco Bragazzi e Marco Pisanelli. Carrara si paralizzò, all’epoca, in occasione dei funerali. Saracinesche abbassate, autobus fermi, banche, Comune, Inail, Inps, Poste, Camera di commercio: tutti chiusi. Anche le scuole scioperarono e in alcuni istituti vennero appesi pure striscioni con messaggi di cordoglio. Nelle cave del marmo apuane, poi, non si mosse una pietra per tutto il giorno. Da allora di morti per colpa del marmo ce ne sono stati parecchi e ogni volta i sindacati indicono scioperi di protesta, i sindaci proclamano il lutto cittadino, e la città risponde. Ma il pathos, forse, si è perso.

Lo si vedeva mercoledì, giorno del lutto e dei funerali di Morelli, in quei carroponti che si muovevano, avanti e indietro, nelle segherie della zona industriale a un passo da dove l’operaio è morto. Lo si vedeva nella rabbia dei sindacalisti davanti all’obitorio di Massa che quasi imprecavano contro chi era a lavoro. Non i cavatori, no: loro hanno scioperato tutti. E con loro c’era anche qualche operaio del piano. Ma pochi. «Il problema è che il piano (le segherie, ndr) non è molto sindacalizzato - spiega Gozzani - Il livello di partecipazione è quindi molto più basso rispetto a quello che si può trovare nelle cave».


E poi c’è il fattore “crisi economica”, che di fatto costringe un lavoratore a far valere sempre meno i suoi diritti. «Le segherie rispetto alle cave - continua Gozzani - sono quelle che più risentono della crisi. Il rischio che una segheria chiuda, e che quindi un lavoratore venga licenziato, in questo periodo, è alto. E di conseguenza i lavoratori tendono a sottostare a tutto».
Anche Confartigianato fa un mea culpa. «Sull’adesione allo sciopero tutto dipende dalle scelte individuali dei singoli operai - commenta il segretario generale, Gianfranco Oligeri - ma è vero che almeno nel momento dei funerali gli imprenditori potevano fermarsi e chiudere».
E invece no. Le segherie (non tutte) aveva già dimenticato Carlo. Hanno continuato a segare blocchi di marmo, a lucidare lastre, a far partire commesse per prepararsi poi all’altra. «Per me è stata una delusione grandissima - chiosa Gozzani, della Cgil - Come sindacalista, ma soprattutto come uomo».
 

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