Quando il dolore ha due volti e due funerali
C’è chi piange, chi il dolore lo ha sigillato, chi ha il sorriso isterico di chi sta per scoppiare. E chi sbraita, chi impreca, chi maledice tutto e tutti perché non si può, no, morire sul lavoro. E...
C’è chi piange, chi il dolore lo ha sigillato, chi ha il sorriso isterico di chi sta per scoppiare. E chi sbraita, chi impreca, chi maledice tutto e tutti perché non si può, no, morire sul lavoro. E così, non molto lontano dalla pensione. L’addio a Carlo Morelli, l’operaio morto lunedì mattina in una segheria del marmo nella zona industriale di Massa, è stato un viaggio emotivo dal dolore alla rabbia e poi a ritroso dalla rabbia al dolore. Perché nel lutto c’è tutto. C’è lo strazio di chi ha perso un marito, un padre, un nonno, un amico. Ma anche la rabbia di chi non ne può più di contare morti, di seppellire colleghi sperando sempre che sia l’ultimo. Ieri pomeriggio davanti all’obitorio dell’ospedale Apuane, da dove è partito il corteo funebre verso il cimitero di Turigliano, si respirava strazio e rabbia. «Doveva essere in pensione e guardate la sua pensione qual è: una bara», commenta, quasi urlando, Valter Giorgieri, dipendente di una segheria del marmo a Montignoso. Fissa la porta dell’obitorio da cui sta per uscire il feretro di Carlo e riprende senza distorcere lo sguardo: «Doveva essere un mese fa l’ultima volta ma non è mai l’ultima volta». E il pensiero va ai due cavatori uccisi il 14 aprile da una frana di oltre duemila tonnellate di marmo. Doveva essere l’ultima volta quella, già. E invece il marmo è tornato a macchiarsi di sangue. Il lutto è calato di nuovo su due città intere. «Ora basta, ci siamo rotti», aggiunge, urlando, un uomo non molto lontano dal portone. Si girano tutti, ma nessuno si indigna per quel rumore.
La rabbia è lecita di fronte alla sesta vittima in nove mesi. E le lacrime non bastano per inghiottire il dolore. E allora c’è chi urla, chi non se la tiene dentro la sofferenza. «Sono indignato - commenta Francesco Fulignani, della Uil - Venendo in qua (all’obitorio, ndr) ho visto 19 segherie su 20 aperte, che continuavano a segare marmo nonostante due giorni fa sia morto l’ennesimo lavoratore per lavorarlo quel marmo». Poi esce il feretro e cala il silenzio. Perché ora è il solo il momento del dolore. La rabbia scende nel lamento.
E a Carrara, nel secondo corteo non c’è stato un minuto di silenzio, come previsto nella fredda nota che annunciava il lutto cittadino. È stato un silenzio lunghissimo, durato tutto il tempo del corteo funebre all’interno del cimitero di Turigliano. Un silenzio. E un gesto. Perché a volte basta davvero un gesto, un semplice gesto per far capire i sentimenti, e azzerare le parole, farle apparire vuote. E quello di Grazia Scattu, la moglie di Carlo Morelli, il marmista morto in segheria, sotto le lastre, è stato un gesto semplice. Impercettibile forse per molti o addirittura non visto da chi si trovava in mezzo alle tante persone che sono venute a Turigliano per dare l’ultimo saluto a Carlo.
Il carro funebre ha varcato i cancelli del cimitero. E si è fermato nello spazio proprio all’ingresso. Il corteo si è disposto in cerchio, quasi in attesa che qualcuno parlasse. Che ci fosse, come spesso accade quando i funerali non vengono celebrati in chiesa, il ricordo di un amico, la lettera della moglie, le parole di un parente.
E a questo punto, in quei minuti di attesa la signora Grazia ha fatto quel piccolo gesto. Ha appoggiato la mano destra sul portellone del carro funebre. Come per un tacito accordo il carro si è messo in moto, il corteo si è mosso. Senza che ci fosse neppure una parola. Senza gli applausi, che pure c’erano stati a Massa. Qui, a Turigliano, nessuno ha battuto le mani. E nel corteo hanno risuonato solo i passi. Così ha voluto la moglie Grazia, e quel suo piccolo gesto accanto al carro funebre è stato eloquente.
Alessandra Vivoli
Melania Carnevali