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I medici chiedono la bocciatura: «La ragazza resti a scuola». Ma il consiglio di classe la promuove: la delusione della mamma

di Valentina Landucci
I medici chiedono la bocciatura: «La ragazza resti a scuola». Ma il consiglio di classe la promuove: la delusione della mamma

Lucca, la madre e gli specialisti che la seguono avevano chiesto la bocciatura per la studentessa autistica: «È solo un costo ed è stata sbattuta fuori»

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LUCCA. Si sente sempre più spesso parlare di progetti per il “Dopo di noi”. Un titolino semplice dietro al quale si nasconde un intero universo di esperienze, emozioni, difficoltà e certamente anche paure vissute quotidianamente da chi ha un figlio, un familiare disabile e si preoccupa di quello che potrebbe accadergli il giorno in cui chi si prende cura di lui o di lei non ci sarà più. Proviamo a cambiare le parole per parlare di un altro pezzo di questo percorso, intenso e travagliato, accanto a persone disabili. Proviamo cioè a parlare di “Dopo la scuola” per un o una giovane disabile. Che succede a uno studente, una persona ancora giovane ma non in grado di affrontare la vita da sola, quando esce dal percorso scolastico? E a un genitore? Quali possibilità vengono offerte per riuscire a sostenere i propri figli?

La premessa è doverosa per raccontare la vicenda di una giovane lucchese, appena ventenne, che pochi giorni fa è uscita, per l’ultima volta, dalla scuola dove ha trascorso gli ultimi anni affiancata da docenti, insegnanti di sostegno e personale socio sanitario. Una storia difficile perché Alice (il nome è di fantasia per tutelare la privacy di questa ragazza) solo nell’ultimo anno di frequenza del liceo al quale era iscritta è riuscita a condividere momenti della giornata in aula, seduta, insieme ai compagni. Il suo percorso scolastico è stato più fuori dalle classi che dentro perché non riusciva e in gran parte ancora oggi non riesce a comunicare e interagire con gli altri. Poi però nella complessa gestione della sua patologia qualche cosa ha cominciato a cambiare: le terapie, reiterate, monitorate, modificate nel corso degli anni, hanno consentito di farle fare alcuni piccoli passi. La classe che le era preclusa è, in qualche modo, diventata un luogo fisico e umano accessibile. Ma proprio mentre accadeva qualcosa di insperato per sanitari e familiari di Alice le porte di quella classe si sono chiuse per sempre. Alice è stata promossa. A settembre non tornerà a scuola e l’unica occasione di socialità che le potrà essere concessa fuori dal contesto familiare sarà quella di un qualche centro diurno dove, forse, ricominciare da capo di fatto – per quanto assistita da personale socio sanitario – di nuovo sola.

Il suo “Dopo la scuola” sarà un mondo di adulti, per lo più, affetti da diverse disabilità e assistiti tra mille difficoltà economiche dal servizio sanitario nazionale: un contesto dove è difficile immaginare il poter imparare qualcosa, un punto di arrivo e non di partenza insomma. E questo, la sua mamma, non lo può sopportare. Di fronte alla prospettiva dell’uscita di Alice dal contesto scolastico si è attivata chiedendo per tempo che la ragazza venisse bocciata, fermata un altro anno in quella scuola che finalmente sentiva sua. Ma è finita dentro una macchina infernale: da un lato i medici, il personale socio sanitario, l’insegnante di sostegno che hanno seguito Alice in questi anni e fin dallo scorso febbraio rimarcavano la necessità di tenere la ragazza a scuola. Dall’altra un consiglio di classe ha deciso la promozione. «Mia figlia è stata letteralmente buttata fuori dalla scuola» spiega la mamma, carte alla mano. A febbraio le valutazioni relative ad Alice descrivevano una persona «con difficoltà significative nelle dinamiche sociali e di gruppo», non in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati sul fronte del linguaggio e della comunicazione, difficoltà nell’orientamento negli ambienti scolastici, lontana dall’aver «sviluppato uno stile cognitivo strutturato». Poi però a fine anno è arrivata la pagella “con tanto di 8 e di 9” dice la madre.

La giovane è seguita dall’Asl e dalla Stella Maris. Ed in entrambi i casi gli specialisti avevano sottolineato «l’opportunità di proseguire il percorso scolastico – scrive l’azienda sanitaria – in quanto questo costituisce ancora oggi un contesto adeguato per accompagnarla nel conseguimento di ulteriori abilità personali, sociali e adattive». «Nel corso dell’ultimo anno – recita l’ultima relazione (del marzo scorso) dello specialista dal quale è in cura alla Stella Maris – con i più recenti aggiustamenti terapeutici, la ragazza appare presentare un sufficiente controllo comportamentale che ha consentito un ampliamento delle abilità di comprensione e adattamento, anche se non sono stati raggiunto i previsti obiettivi di autonomia e partecipazione» per consolidare i quali il medico suggeriva «la prosecuzione ancora per un anno dell’iter scolastico». Non è bastato questo, né il parere analogo dell’insegnate di sostegno e di un altro docente della classe, a far restare Alice a scuola. Il consiglio di classe, d’intesa con la dirigente, ha deciso che le porte di quel liceo per la ragazza saranno chiuse.

«Ho ripetutamente chiesto un confronto alla dirigente, mi sono rivolta al provveditorato, mi sono rivolta anche a un avvocato ma non c’è stato niente da fare» prosegue la mamma di Alice con la voce strozzata dalle lacrime. «A maggio ho chiesto anche pubblicamente che mia figlia fosse trattenuta per un altro anno, ne ho ricevuto solo critiche – prosegue – mi hanno fatto sentire una madre sbagliata e mia figlia solo un numero, solo un costo».

L’immagine che la donna ha in mente è quella di Alice finalmente seduta al banco che ascolta la lezione. Alice che per la prima volta appoggia la mano sulla spalla di un compagno in segno di saluto per richiamare la sua attenzione. Un niente che è tutto, che è un inizio. Ma, dopo lo scrutinio, è anche una fine «perché la scuola non vuole trattenere i disabili – prosegue la mamma – mi è stato detto che è una indicazione arrivata dalla dirigente che mia figlia non la conosce, che non ha voluto ascoltare rifiutando un dialogo. Per me ma soprattutto per mia figlia sarebbe stato un anno di vita in più, una possibilità di consolidare quello che era riuscita così faticosamente a raggiungere, ma ci hanno condannati a vederla regredire in un centro diurno». 

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