Lucca, tumore non visto e paziente morto: medico condannato a pagare quasi mezzo milione
La dottoressa, ora in pensione, deve risarcire l'Asl per l'errore di valutazione di un esame istologico. L’Azienda aveva versato 780mila euro agli eredi della vittima
LUCCA. Il dramma silenzioso era iniziato con il tumore non visto in una lettura errata dell’esame istologico dopo la rimozione dell’appendice. Da quel momento per il paziente era partito a sua insaputa un conto alla rovescia durato sei anni. Quando si era sottoposto a nuovi esami per quei dolori che non passavano ricevette una diagnosi infausta, ignorata nella prima valutazione fatale: il cancro era ormai in fase avanzata e nel giro di tre mesi per l’uomo arrivò il decesso. Risarciti gli eredi con 780mila euro per evitare una causa civile, l’Asl aveva segnalato alla Procura delle Corte dei conti l’allora dottoressa dell’ospedale Campo di Marte: Enrica Menni, 72 anni, di San Pancrazio, la responsabile della refertazione con l’omissione imperdonabile.
La condanna
Il medico è stato condannato a risarcire l’Asl per un importo di 468mila euro. Ha ottenuto uno sconto del 40 per cento perché ha dimostrato in quali condizioni era costretta a lavorare con un carico di referti superiore a quanto previsto dalle procedure. Un’attenuante che sgrava nell’importo la colpa della dottoressa oberata di un carico di lavoro anomalo, ma non sposta la centralità dello sbaglio che ha privato il paziente delle cure che gli avrebbero permesso, secondo gli specialisti nominati dai giudici, di sopravvivere con una percentuale di oltre il 70 per cento per almeno altri dieci anni.
La diagnosi e l’errore
È il 10 luglio 2010 quando la dottoressa redige l’esame nei confronti del paziente e scrive di “appendicite acuta flemmonosa”. L’uomo trascorre anni di dolori addominali e il 24 maggio 2016 si sottopone a una serie di accertamenti. E il 24 agosto arriva l’esito del nuovo istologico: è uno choc. Altro che infiammazione dell’appendice. Il referto parla di “sezione di appendice cecale con infiltrazione adenocarcinomatosa a tutto spessore della parete associata a intensa flogosi acuta granulocitaria transparietale e penappendice”. Al netto dei termini scientifici, l’uomo aveva convissuto con un tumore per sei anni e la malattia era progredita senza contrasto. La terapia oncologica è immediata, ma il 28 novembre 2016 il paziente si arrende.
I consulenti medici hanno ritenuto che la «non adeguata interpretazione dei preparati, con conseguente inappropriato inquadramento diagnostico» abbia determinato un ritardo nella diagnosi della neoplasia maligna di circa sei anni, compromettendo le percentuali di sopravvivenza.
La difesa
La dottoressa si è difesa sostenendo che «in fase intraoperatoria, la diagnosi di tale neoplasia risulta difficoltosa in quanto “può essere “mascherata” da una flogosi appendicolare, cioè da un processo infiammatorio dell’appendice». E per sottolineare il carico di lavoro aveva dichiarato di essere costretta a refertare 50/60 preparati al giorno. Sul punto, però, l’azienda aveva rilevato che il giorno della valutazione sbagliata il medico aveva esaminato solo 14 istologici.
Negligenza
Una tesi che non ha fatto breccia nei giudici contabili per i quali «risulta connotata da grave negligenza ed imperizia la condotta della convenuta che, in sede di esame istologico del preparato della appendicectomia, non si è accorta della neoplasia già presente, come successivamente appurato dalla ripetizione dell’esame nel 2016». Errore senza scusanti per la Corte dei conti che, tuttavia, accoglie una delle argomentazioni del medico. Nel 2010 la dottoressa Menni aveva eseguito un numero di referti istologico pari a 2934, superiore di circa 700 referti rispetto al numero massimo fissato nel 2012 dalla Regione Toscana e pari a 2200/2300. «Tale circostanza, provata dalla nota del 9 aprile 2024 dell’Usl nord ovest deve essere valorizzata per ridurre l’ammontare della somma da risarcire in quanto, pur trattandosi di un criterio numerico fissato dall’azienda sanitaria successivamente ai fatti in giudizio, è indicativo della consistente mole di lavoro che la convenuta ha svolto nell’anno considerato» sintetizza la sentenza per “giustificare” lo sconto. l
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