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Lucca, malattia simulata dopo il cambio di mansioni: licenziato

di Pietro Barghigiani
Lucca, malattia simulata dopo il cambio di mansioni: licenziato

Il dipendente di Lucca Plus (parcheggi) è stato pedinato durante il periodo dei certificati per ansia e depressione: andava al bar e in bicicletta

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LUCCA. Una malattia simulata dopo essere stato assegnato a nuove mansioni vissute come “un incubo”, anche per l’incapacità e l’assenza di volontà di attrezzarsi un minimo a livello tecnologico.

Licenziato dalla società Metro (ora trasformata in Lucca Plus, ndr) e poi reintegrato con indennità di 12 mensilità con sentenza emessa dal Tribunale di Lucca, il dipendente in secondo grado ha perso la causa con l’ex datore di lavoro. I giudici della Corte d’Appello di Firenze hanno stabilito che l’uomo «avrebbe simulato l’esistenza di una malattia per non svolgere le nuove mansioni assegnategli con ordine di servizio del 24 novembre 2021, mansioni da lui non gradite». E nella sentenza impongono al licenziato di restituire oltre 40mila euro di spese legali a Lucca Plus.

I pedinamenti

Nel lungo contenzioso legale tra società e dipendente è entrata in gioco anche un’agenzia di investigazioni private. Scopo della missione commissionata dall’azienda era quello di capire il livello della malattia all’origine delle assenze. E dai pedinamenti in breve tempo era venuto fuori che l’uomo, al di fuori delle fasce orarie fissate per i possibili controlli, usciva per lunghi giri in bici e si intratteneva al bar con gli amici senza mostrare particolari patemi riferibili a stati di ansia o depressione. Rideva e scherzava sicuro di essere al riparo dai controlli perché fuori fascia oraria. Errore madornale.

L’ordine di servizio

È il 24 novembre 2021 quando all’uomo (dal 2016 addetto come operatore alla centrale di controllo, con funzioni di vigilanza sui monitor che riportavano le immagini delle videocamere installate nel park nonché di risposta alle richieste dell’utenza) viene informato che dal primo dicembre, con altri colleghi, sarebbe stato adibito alla mansione di emissione di abbonamenti e tessere.

Dopo appena quindicina minuti dall’inizio dell’attività di formazione se ne era andato «dichiarando che non intendeva seguire l’attività in questione» aveva sostenuto la società aggiungendo: «Dal 21 dicembre iniziava a svolgere in autonomia la mansione, con risultati insoddisfacenti, con superficialità, facendo errori, invitando gli utenti ad andare via e a ripresentarsi nei giorni successivi». Richiamato a un comportamento corretto, il dipendente aveva resistito due giorni e poi si era messo in malattia.

Il licenziamento

Dal 20 al 28 gennaio 2022 un investigatore privato aveva seguito il dipendente. Nella contestazione la società aveva sottolinea che «tutti i giorni verificati, mostrando una puntualità degna di maggiore sorte, in prossimità della scadenza della fascia di reperibilità mattutina, è uscito di casa per dedicarsi ad attività ludiche o di svago che dimostrano come nessun impedimento l’affliggesse. Certamente, la sua condotta attesta come lei non sia affetto da alcuna condizione patologica che giustifichi l’invalidità assoluta denunciata all’azienda per evitare le mansioni - d’ufficio e di scarso impegno fisico - di neo-assegnazione che lei, sin da subito, ha platealmente dimostrato di non gradire, rifiutando inizialmente la relativa formazione e successivamente applicandosi al lavoro con evidente, dolosa superficialità - tanto da indurre l’azienda ad una contestazione formale. Ha ben pensato di mettersi in malattia per potersi dedicare alle sue lunghe escursioni in bicicletta post fascia di reperibilità e alle sue visite al bar, non mancando per giunta di ironizzare con un conoscente sulla sua attenzione alle fasce».

La malattia

Alla fine la prescrizione di farmaci antidepressivi era stata firmata solo dal medico curante che aveva invitato il paziente a farsi vedere da uno specialista. Ma nessuna visita era seguita come consigliato dalla dottoressa di famiglia. «Non voglio passare per matto» si era difeso l’uomo in corso di causa.

Per i giudici fiorentini «l’assenza di certificazioni significative in merito all’effettività della malattia e l’avversione fin da subito a svolgere le mansioni assegnate, inducono a concludere che la malattia denunciata si palesava come una conseguenza annunciata di tale avversione».

Dunque, lo stato ansioso depressivo per la Corte d’Appello altro non era che un pretesto per rifiutare un lavoro vissuto con ostilità. Non solo: nel corso della malattia il lavoratore avrebbe cercato di utilizzare la sua condizione come strumento per sondare la possibilità di ottenere una assegnazione a diverse mansioni. Un teste ha riferito ai giudici che «per un paio di volte durante la malattia, fui contattato e mi disse “mi sto curando, ma immagino che se dovessi rientrare non potrei che svolgere quell’attività”. Il tutto, a riprova che il rientro in servizio e la fine della denunciata malattia dipendevano appunto dalla tipologia di mansioni che gli avrebbero attribuito e che sarebbe rientrato solo se assegnato a mansioni diverse (tanto che la malattia ebbe a protrarsi sino al febbraio)».

Condotta grave

Un comportamento del genere con la simulazione della malattia «denota da parte del lavoratore una condotta di particolare gravità, in violazione degli obblighi di collaborazione e diligenza dovuti nei confronti del datore di lavoro (oltre che in termini di fiducia)». Licenziamento legittimo con la restituzione di oltre 40mila euro al datore di lavoro. l

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